“A chi mi obiettasse che è meglio lasciare le cose costituzionali più o meno come stanno e modificare la legge elettorale (un vestitino su misura), cambiare i regolamenti parlamentari (ormai arcaici), riformare (quello sì!) il procedimento legislativo, che ancora adesso è a suon di decreti e voti di fiducia, superare il bicameralismo perfetto (che già adesso non c'è più), votare la fiducia solo al vincitore delle elezioni prima che lui solo scelga i suoi ministri, non troverei molto da obiettare. Anzi. Dal giorno in cui votammo simboli con su scritto il nome del presidente del Consiglio, il premierato lo abbiamo già: si tratta solo di dargli i poteri per funzionare. Poteri che non avrà se ci si concentra solo sulla elezione diretta”. Lo afferma il senatore di Fratelli d'Italia ed ex presidente del Senato, Marcello Pera, in un'intervista a Il Sole 24 ore.

“Si vuole lasciare 'intatte' le prerogative del Presidente della Repubblica, come si dice in modo palesemente insincero. Perché è evidente – aggiunge ancora l'eponente di Fdi - che se si rafforza, fino al massimo dell'elezione diretta, la figura del Primo ministro necessariamente si indebolisce quella del Presidente della Repubblica: certe cose che il secondo prima faceva, dopo non potrebbe farle più. Il rischio è che, essendo entrambi forti, si instauri una diarchia istituzionale e politica o un bi-presidenzialismo, fonte di tensioni e attriti”. “Questo rischio – spiega Pera - non si scongiura osservando che dei due uno è più forte dell'altro. Sulla carta è così, perché il Presidente della Repubblica emana dal Parlamento e il Primo Ministro dal popolo. E però succede che al Presidente della Repubblica resta il potere di sciogliere le Camere e di nominare i ministri, due scelte che sono eminentemente politiche, mentre il presidente del Consiglio può essere licenziato dal Parlamento anche dopo poco tempo per essere sostituito da un altro dello stesso schieramento, indicato o scelto dal Presidente della Repubblica. Chi è più forte? Chi decide che si deve tornare a votare o invece continuare con altri personaggi?”. 

“La sostituzione del Primo ministro eletto con un altro crea un problema anche riguardo al Parlamento. Un bel pasticcio, perché vogliamo rafforzare la governabilità, introdurre il Primo ministro eletto, e poi lo ribaltiamo in Parlamento! Come ora”. Inoltre “con l'elezione ad un turno del Primo ministro ne avremmo sicuramente uno di minoranza, magari col 40% o anche meno. Occorre il ballottaggio: il premio di maggioranza alla coalizione vincente, fino al 55%, mi sembra enorme e urta sicuramente con i paletti fissati dalla Corte costituzionale. Infine – conclude l'ex presidente del Senato - mi turba l'idea di una legge elettorale in Costituzione. Così si ingessa la politica, la si condanna alla situazione attuale”.

Particolarmente critico con la “madre di tutte le riforme”, come l’ha definita la presidente Meloni, è l'ex premier e presidente emerito della Corte costituzionale, Giuliano Amato. Per il quale “questa riforma costituzionale cambia radicalmente il nostro sistema di governo fondato sul Parlamento. Tecnicamente è un vero sconvolgimento che ha l'effetto di indebolire le Camere e di prosciugare il capo dello Stato nella sua figura di garanzia”. “Meglio un premierato alla tedesca che non altera la nostra struttura istituzionale - aggiunge Amato in un’intervista a Repubblica -. Con l'Autonomia, allo squilibrio istituzionale si aggiungerebbe quello regionale”.