A nome del governo, autorizzato dal Consiglio dei ministri, pongo la questione di fiducia» sul decreto Sicurezza. Con queste parole il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Riccardo Fraccaro, annuncia la scelta dell'esecutivo di procedere a Montecitorio così come già fatto a Palazzo Madama poche settimane fa: chiedendo la fiducia. In barba alle proteste della sinistra, che urla «vergogna!» dai banchi del Pd e di Leu, la maggioranza tira dunque dritta per la sua strada.

E tra una foto sulla ruspa e un post su Facebook il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, si fa vedere anche alla Camera, dove è in corso la discussione sul suo decreto. Anche se l'Aula è semi vuota il capo del Carroccio non può mancare per l'evento, ci ha messo la faccia su quel testo e annulla persino la partecipazione a un convrgno a Palazzo Giustiniani per presenziare dai banchi del governo. «Da qui fino almeno a mercoledì per me l’ordine del giorno è il decreto sicurezza: o passa questa settimana o salta.

Quindi sarò lì, alla Camera, giorno e notte», dice il titolare del Viminale, consapevole della non ostilità garantita dall'alleato di governo. Luigi Di Maio, infatti, è riuscito a placare i dissidenti, convincendo i 18 deputati ribelli a ritirare i 5 emendamenti presentati. Certo, qualcuno di loro, come l'onorevole Valentina Corneli, non rinuncia al diritto di critica, ma il sì al provvedimento non è più in discussione. «In nessuna fase del dibattito parlamentare ho nascosto le perplessità su questo provvedimento, anche se al Senato siamo riusciti a ottenere delle modifiche molto importanti. Personalmente anche qui alla Camera avrei voluto discutere ulteriori proposte emendative», dice la deputata ribelle, firmataria di uno dei 5 emendamenti grillini presentati in Commissione e poi ritirati. «Non c’è stato il tempo» di intervenire sul decreto «perché si tratta di un provvedimento in scadenza», spiega Corneli. «Le perplessità derivano dal fatto che non si affronta in maniera rilevante il problema dell’integrazione e il combinato- disposto degli articoli 1 e 12, potrebbe determinare un rischio, in relazione al peggioramento della sicurezza a causa degli immigrati sul territorio». Ma con i “se” e i “ma” non si dichiara guerra alla Lega, al massimo si può votare turandosi il naso. Il nuovo atteggiamento accondiscendente finisce subito nel mirino dell'opposizione. Il più duro è il deputato di + Europa, Riccardo Magi, che in mattinata si rivolge così ai grillini: «Avete svenduto le vostre convinzioni più profonde sul tema dell’immigrazione per uno scambio con l’approvazione del provvedimento sull’anticorruzione», dice Magi. «I due provvedimenti sono profondamente legati: l’uno salutato da applausi scroscianti dei 5S e dal silenzio imbarazzato della Lega, l’altro accolto dalla presenza in massa dei colleghi della Lega, ma dall’assenza imbarazzata del Movimento».

Che la “fronda” anti salviniana avesse deciso di seppellire per il momento l'ascia di guerra, del resto, lo si era capito già dal mattino, quando il fichiano Giuseppe Brescia, presidente della commissione Affari costituzionali di Montecitorio e relatore di maggioranza del decreto sicurezza stempera i toni bellicosi nella sua relazione. «Nel corso dell’esame al Senato sono state apportate numerose modifiche» al testo originario del decreto, attraverso un «lavoro particolarmente approfondito e corposo.

Senza entrare nel merito delle modifiche, devo dichiarare come il testo iniziale suscitasse in me gravi perplessità su vari aspetti che sono grossomodo superate in virtù delle modifiche», dice Brescia, sottolineando «l’importanza del «lavoro costruttivo e leale e franco, che si è svolto, alla luce del sole e nelle aule parlamentari». Unica pecca: la tempistica alla Camera, «condizionata dal contemporaneo impegno della commissione e dell’Aula sul ddl anticorruzione», ammette l'esponente eretico del Movimento 5 Stelle, che per palesare il suo dissenso composto nei confronti del dl salviniano definisce «legittima» la posizione assunta dal Pd, che venerdì scorso ha abbandonato i lavori della commissione. «Capisco, avendolo sperimentato in molte occasioni nella scorsa legislatura, la fatica di fare opposizione su provvedimenti che maggioranza e governo non ritenevano di modificare», argomenta Brescia. «Certamente l’esame del decreto ha presentato caratteri di eccezionalità per tempistica e concomitanza con il ddl anticorruzione. Mi auguro tali situazioni non si ripetano almeno sul piano dell’organizzazione dei lavori».

In futuro si vedrà, per ora però la Camera approva con 301 voti favorevoli la richiesta della Lega di interrompere anticipatamente la discussione generale del decreto. Il governo chiede la fiducia.