Difficile trovare un neologismo adatto. Si potrebbe usare “scandalite”. È un tic. È scattato certamente nel Pd. Si è impossessato di Elly Schlein ma anche, e da tempo, del sistema mediatico.

Dopo Bari, dopo l’uno-due sul presunto voto di scambio pugliese, ecco la versione piemontese. Al centro della bufera democrat, un 85enne, e ripetiamo 85enne, presunto ras delle tessere, o cacicco, tale Salvatore “Sasà” Gallo. Ora forse varrebbe la pena partire dall’anagrafe, e dalla qualifica di questo ex presidente della Sitaf, la concessionaria dell’autostrada Torino-Bardonecchia, per cominciare a scorgere il ridicolo, in termini politici, della vicenda.

Qual è il principale addebito rivolto dai pm della Dda torinese e dai carabinieri del Ros all’indagato che ha compromesso la corsa elettorale del figlio Raffaele Gallo, capolista dem alle Regionali costretto da Schlein al passo indietro? Elargiva tessere autostradali gratuite. Che vuol dire? La “tesserina”, come la chiamano i beneficiati nelle immancabili intercettazioni – e ci sarebbe da riflettere sul fatto che per un reato di tale portata sia consentito il ricorso alle intercettazioni – non era certo una Stairway to Heaven, una scala per il paradiso, per citare gli immensi Led Zeppelin, ma il modestissimo lasciapassare per Bardonecchia, che da Torino non sono neppure 100 chilometri.

Pedaggio risparmiato? Stropicciatevi bene gli occhi: 12 euro e 80. E sapete a chi la davano? A primari, neurochirurghi, professionisti vari. Persone che, s’immagina, in molti casi quella cifra l’avrebbero spesa moltiplicata per 100 nel susseguente fine settimana sulle piste di Bardonecchia (per chi non lo sapesse a Bardonecchia si va per sciare). Che si sono presentate al casello armate della tesserina a bordo di Bmw S2 (prezzo Quattroruote sui 50mila euro). Gente che in un week end spende quanto un assistente giudiziario fresco vincitore di concorso guadagna in un mese si preoccupava di risparmiare 12 euro e 80 di autostrada.

Ed è questo il corpo del reato addebitato al cosiddetto ras del voto di scambio Sasà Gallo (accusato di corruzione elettorale, peculato ed estorsione, per essere precisi). Dite che, sul piano politico, è una cosa seria, e non semplicemente un tic micragnoso e un po’ meschino da élites di retroguardia? Dite che è una roba per cui merita di entrare in crisi il secondo partito politico italiano?...

La cosa incredibile, per il Pd, non è essersi consegnato al cacicco-re delle tesserine autostradali, come pure si legge in queste ore, ma aver costretto il di lui figlio Raffaele al “passo indietro”, cioè a ritirare la candidatura di capolista (per far posto, forse, a Davide Mattiello, dirigente di Libera, l’associazione che riutilizza i beni confiscati alla mafia). Ecco, sì: è una patologia. È la scandalite. Appena esce un’informativa o viene svelato il contenuto di un’indagine, si dà per scontato si tratti di una malefatta gravissima. Senza neppure verificare l’effettiva entità dei presunti reati, soprattutto senza ricordarsi mai che dovrà essere un giudice a stabilire se si tratta davvero di reati.

Ora la segretaria del Pd Schlein imporrà un codice pre-elettorale anti-correnti e anti-cacicchi (come se i candidati calati dall’alto fossero il trionfo della limpida partecipazione alla politica). Intanto parte della stampa più schierata col centrodestra evoca intrecci con la ’ndrangheta neppure ipotizzati dai pm antimafia torinesi. Nell’indagine sui signori delle tesserine il 416 bis non c’entra, ma tutto torna utile per creare la suggestione, essenziale per innescare la scandalite, anche nota come isterismo da cortocircuito mediatico-giudiziario.

Dubitiamo che Elly possa trovare la forza per ricordare ai suoi che esiste un principio, la presunzione d’innocenza, scolpito in Costituzione tanto quanto l’azione penale obbligatoria, e che, se si deve rispettare il potere dei pm di esercitare la seconda, va allora difeso anche il diritto degli indagati di vedersi riconosciuta la prima. Sarebbe perciò opportuno che quella lucidità, quel contro-vaffa alle sentenze emesse in anticipo dai titoli scandalistici provenisse dal partito che porta ancora nel simbolo il nome del leader bersagliato più di ogni altro da quella macchina terribile, Silvio Berlusconi. Dopo aver chiesto (legittimamente, per carità) al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi se non ritenesse per caso di poter valutare di fare un mazzo cosi al centrosinistra barese con l’invio della commissione d’accesso preliminare allo scioglimento per mafia, sarebbe importante se il ministro e segretario di Forza Italia Antonio Tajani si alzasse e dicesse chiaro e forte: “Signori, a noi delle teorie giudiziarie su Decaro o su Emiliano, degli scandali basati su non reati, o anche della scandalite causata da reati che sono tali solo nelle ipotesi di una parte del processo, cioè dei pm, non c’importa un fico secco. Noi consideriamo i nostri avversari, il Pd, di Bari o di Torino, come controparti degne, e riteniamo assurdo subordinare la campagna elettorale a ipotesi d’accusa. Quindi, cari elettori, sappiate che noi non vi chiediamo di votarci perché quegli altri sono sporcaccioni, come purtroppo è invece avvenuto tante volte a danno nostro e del nostro capo, ma perché siamo convinti di avere una proposta migliore per rendere più vivibili le città e per rappresentare i vostri interessi in Europa, e per essere dunque degni di assumere quella cosa sacra che si chiama sovranità popolare”.

Ah, e poi magari se aggiungesse il seguente inciso, Tajani ci farebbe proprio felici: “Ricordate: la sovranità popolare appartiene a voi che la affidate a noi, non appartiene né ai prefetti né ai pm”. Sarebbe un bel segnale. Una lezione pure per la povera Schlein. Un atto che ci libererebbe dalla scandalite e anche un po’ dal ridicolo.