Il Pd è un ordigno ad alto potenziale esplosivo, da maneggiarsi con massima cura. Nel suo primo discorso da segretaria del partito Elly Schlein ha dimostrato di rendersene perfettamente conto. La sfida però è coniugare felpatezza e determinazione, cura e decisione. Il filo tra il rischio della deflagrazione e quello della paralisi è sottile.

Per quanto riguarda l'identità da sempre incerta di un partito che proprio per l'incapacità di dotarsi d'identità stava morendo l'obiettivo della neosegretaria è una quadratura del cerchio da manuale. Coniugare le differenze, «togliersi le magliette», ricomporre tutto unitariamente però senza tradire il mandato degli elettori, anzi «senza arretrare di un millimetro» . Se non è una missione impossibile ci si avvicina molto. Il congresso del Pd non è stato un torneo di calcetto. Togliersi la maglia della squadra in competizione non basta.

Le divisioni erano strategiche, molto più sostanziali e sostanziose di quanto un dibattito congressuale immiserito dalla prudenza di tutti abbia lasciato trapelare. Tra il partito-carovana orientato a sinistra della squadra vincente e il partito degli amministratori rivolto al centro che è stato sconfitto, però di misura, c'è una distanza che, per essere colmata, dovrebbe prima essere francamente esplicitata e messa sul tavolo di una vera “fase 2” del congresso. Ma questo è precisamente ciò che Schlein non vuol fare, consapevole com'è che altrimenti i rischi di spaccatura s'impennerebbero.

L'elemento davvero comune a tutti sul quale la segretaria conta è l'interesse del partito, la necessità di salvarlo subito e portarlo poi alla vittoria. Su questo, senza dubbio, tutti sono d'accordo. Ma proprio quell'interesse comune, la necessità cioè di arrivare comunque al governo, è stato sinora il paravento che ha coperto le divisioni interne al partito e ha impedito che si dotasse di una fisionomia più essenziale e più ambiziosa del semplice “governismo”. Per salvare l'unità del partito Schlein rischia di finire rinchiusa nello stesso soffocante e angusto cerchio che è chiamata a rompere.

Sul piano dell'orizzonte strategico, o “interesse del Paese” che dir si voglia, il discorso è simile. La nuova segretaria ha indicato tre pilastri: diritti sociali, diritti ambientali, diritti civili. Impeccabile ma chi, anche nella sinistra più moderata, oserebbe mai revocare in dubbio questi obiettivi? Chi si schiererebbe contro la scelta, solennemente annunciata, di essere a fianco delle fasce sociali più sofferenti? Per rendere questi obiettivi una rotta precisa e non un orizzonte ideale è necessario dire apertamente chi e cosa impedisce di raggiungerli, indicare per nome le resistenze, avere il coraggio di affermare contro chi ci si schiera, chi è il nemico. Anche questo però sarebbe estremamente rischioso in un partito fondato proprio sul rifiuto di farsi portatore di interessi sociali specifici. L'alternativa, però, è restare quel che il Pd è sempre stato: un partito d'opinione veicolo nel concreto solo degli specifici interessi politici, spesso locali, di quei cacicchi che Schlein ha indicato come principale ostacolo al rinnovamento del partito reclamato da chi a sorpresa la ha eletta segretaria.

Più che una pace, quella sancita con la nomina di Bonaccini a presidente del partito, è una tregua. Se la nuova leader non riuscirà a muoversi con coraggio e tempestività, cioè a esercitare effettivamente la sua leadership, non ci vorrà molto prima che la struttura di partito, quella che aveva scelto un altro segretario e che anche nel ballottaggio ha raccolto poco meno della metà dei consensi, inizi a sopportare con crescente insofferenza un gruppo dirigente sostanzialmente esterno, formato da ex vendoliani, ex civatiani, ex giovani del Pd delusi. In un certo senso, per tenersi in sella e in equilibrio, Elly Schlein deve continuare a muoversi, come capita a chi va in bicicletta. Deve cioè procedere davvero con quella seconda fase del congresso, stavolta centrata sul merito e non sull'appeal e sulla valenza simbolica dei candidati alla segreteria.

Deve cioè rispondere alla domanda che i voti convergenti sul suo nome incarnano. Altrimenti non ci vorrà molto perché una delle due mine già note, la guerra e le alleanze, esploda.

Su entrambi i fronti la Schlein è stata molto prudente: ha ribadito l'appoggio senza margini di dubbio all'Ucraina ma con qualche insistenza in più del suo predecessore sul ruolo dell'Europa e sulla ricerca della pace; non si è sbilanciata tra Conte e Calenda proponendo però subito ai 5S l'unità d'azione “sperimentale” su tre issues centrali. Ma senza risolvere a viso aperto il nodo dell'identità del partito, evitare queste trappole non basterà. Ce ne sarà sempre un'altra, imprevista, dietro l'angolo.