Non ci si lasci ingannare dalla calma apparente: nel Pd la resa dei conti resta incombente, la tensione corre sotto pelle. Di divisioni fra maggioranza schleiniana e minoranza “riformista” ce ne sono state molte ma la spaccatura nel voto sul riarmo europeo ha segnato un punto di non ritorno. I pasdaran vicini alla segretaria hanno anche carezzato per un po’ l’ipotesi del congresso subito, una mossa studiata per spianare la minoranza, ma in realtà strategicamente un po' folle prima delle Regionali d'autunno. Arrivarci con alle spalle una guerra congressuale sarebbe stato il peggiore tra i viatici.

Non significa che la carta del congresso sia stata abbandonata. Ma, se ci sarà, arriverà solo nel 2026, a metà strada fra le regionali e le politiche dell'anno successivo. Nelle previsioni il Pd dovrebbe fare il pieno alle Regionali, conta di conquistare anche le Marche con l'ex esponente della minoranza Matteo Ricci oggi legato all'eminenza grigia Bettini e dunque passato a Elly.

Prima delle Regionali non si andrà oltre la convocazione dell'Assemblea, occasione di confronto e anche di scontro ma non sede adatta allo showdown.

Ma molto dipenderà dalla cornice, cioè da cosa succederà nella partita principale che non è italiana ma europea. La decisione di Elly di votare in dissenso con il resto del Pse ha significato violare uno dei pochi dogmi indiscutibili per la minoranza oggi e per l'intero Pd sino a meno di tre anni fa. Se si dovesse arrivare a nuove rotture con l'Europa, e nella situazione di terremoto permanente creata dall'avvento di Trump non è affatto escluso, la minoranza non potrebbe mollare. Ma per il cerchio stretto della segretaria un voto in dissenso dalla linea del partito guidato addirittura dal presidente del medesimo partito è uno strappo altrettanto quasi non ricucibile.

La prima a frenare sull'ipotesi di regolare i conti in un congresso però, oltre naturalmente alla stessa minoranza, è proprio Elly e con ottime ragioni. Sa perfettamente di non avere alcuna possibilità di vittoria alle elezioni politiche se non riuscirà a fare il pieno dell'elettorato potenziale di centrosinistra non solo a sinistra ma anche al centro. Da Renzi, impegnatissimo a salvarsi politicamente la pelle, non ha nulla da temere. Da Calenda sì: su un tema che per parte dell'elettorato piddino è identitario come l'Europa la sua Azione può costituire un richiamo per quegli elettori che malsopportano l'egemonia che Conte sembra ormai esercitare nella coalizione.

In realtà, persino lo scontro sulla fedeltà sempre e comunque al dettato europeo rinvia a quella che è la vera spina nel fianco del Pd, la linea che segna la divisione interna. Elly ha scommesso tutte le sue fiches su un'alleanza strutturale con i 5S e con Avs, accettando di spostare radicalmente il suo partito in quella direzione. Questo è ciò che la minoranza non tollera e guarda con crescente diffidenza a manifestazioni che interpreta come soggezione alla leadership di Conte: la posizione sul riarmo europeo, appunto, ma anche la manifestazione per Gaza che è stata un successo politico a tutto campo per il leader del M5S. Quella divisione non impensierisce l'ex premier. La vede anzi come una risorsa. Il suo obiettivo resta quello di strappare a Schlein la leadership e i sondaggi, che lo indicano come il più popolare tra i leader dell'opposizione, confortano le sue ambizioni.

La strategia è chiara. Nelle elezioni comunali di fine maggio i 5S si sono sottratti all'alleanza nei comuni campani, principalmente Nola. È una mossa studiata: l'accordo su Fico candidato a Napoli dovrebbe blindare una volta per tutte l'alleanza. Negare l'alleanza in un comune importante del napoletano come Nola serve a Conte per tenere in sospeso quell'accordo definitivo. Del resto per lo stesso motivo non ha ancora formalizzato la candidatura di Fico, che Elly accetterebbe seduta stante.

Conte fa ballare il Pd, che senza i suoi 5S non avrebbero alcuna possibilità neppure di competere alle prossime Politiche, probabilmente perché mira a porre alla fine come condizione le primarie di coalizione. Nelle quali prevede che spera che dal Pd escano almeno due candidature, quella della premier, ovviamente, ma anche quella di Pina Picierno come candidata della minoranza. Con il Pd diviso al voto e forte della sua incrollabile popolarità personale l' “Avvocato del popolo” pensa di farcela. E forse non ha torto.