Cercasi opposizione disperatamente. È scomparsa dai radar, sparita, per la maggioranza è ormai l'ultima delle preoccupazioni. Sino a settembre, complice anche l'effetto novità dovuto alla imprevista segreteria dell'outsider Schlein, compariva sui media e si sa che la politica italiana è spesso solo questione di media: ora ha sguarnito persino quello spazio, del resto più apparente che sostanzioso. In agosto aveva messo a segno un colpo, l'unico da che Giorgia Meloni si è insediata a Chigi, costringendo il governo a retrocedere sulla decisione di liquidare l'intera faccenda del salario minimo con un emendamento secco in commissione. Quella vittoria parlamentare era il riflesso di alcune mosse azzeccate nel Paese reale. L'obiettivo era ben scelto e condiviso anche da molti elettori del centro destra. L'opposizione, con la sola eccezione di Renzi, era per la prima volta unita. Il Pd usciva dopo anni se non decenni dalla ridotta sicura dei soli diritti civili per scoprire che esistono anche quelli sociali e sono oggi i più negati di tutti. Su quella base la segretaria del Pd aveva lanciato una «mobilitazione estiva» che si è poi ridotta a poca cosa ma tant'è.

Passata la pausa estiva il governo ha liquidato come se nulla fosse successo il salario minimo, passando la palla al Cnel e poi accettando come legge mosaica il verdetto negativo. L'opposizione è rimasta sostanzialmente inerte. Sabato, per la prima volta, si svolgerà a Roma una manifestazione convocata dal Pd, sin qui sempre e solo accodatosi a iniziative altrui, in particolare della Cgil. La vigilia non autorizza grandi aspettative. Non ci sarà corteo, non sia mai dovessero volare slogan imbarazzanti. Per il raduno è stata scelta piazza del Popolo, quella dove di solito, a Roma, si convocano manifestazioni che non si prevedono oceaniche.

Sulla “nuova guerra”, quella di Gaza, la segretaria è riuscita a tenere insieme tutte le diverse tendenze interne al suo partito con una posizione di quelle che si definiscono “equilibrate”. Però lo ha fatto al prezzo di una scomparsa o quasi dal dibattito e dalla scena pubblica. La posizione del Pd non è equilibrata. È anonima. Ne approfitta Conte, che non perde occasione per provare a erodere consensi al Pd “da sinistra”. Proprio i rapporti tra Pd e M5S sono uno dei fattori principali che determinano l'attuale eclissi dell'opposizione. Il salario minimo era una proposta dei 5S, inizialmente osteggiata dal Pd. Elly Schelin la ha poi fatta propria. Anche troppo. La campagna politicamente vincente è andata a profitto della leader che si era accodata, non di quello che aveva lanciato la proposta. Agli occhi della popolazione votante il salario minimo è passato a essere vessillo del Nazareno. Di conseguenza, e con la solita prova delle europee che è alle porte da mesi e lo resterà per mesi e già questo dovrebbe bastare a definire un quadro politico come impazzito, Conte ha iniziato una guerra di guerriglia contro i possibili alleati le cui conseguenze sono appunto la paralisi dell'opposizione.

La situazione interna al Pd è l'altro fattore determinante. Al momento nel partito è in vigore una sorta d'armistizio in attesa, chi lo avrebbe mai detto, delle immancabili Europee. Non solo la minoranza di Bonaccini aspetta quel momento per decidere che fare. Restano guardinghi anche i leader storici come Franceschini e Orlando, che hanno deciso di appoggiare Elly, spesso non condividendone affatto la visione politica o condividendola solo in parte, proprio perché la ritenevano l'unica carta da giocare per evitare la disfatta nel voto dell'anno prossimo. Anche loro decideranno come muoversi a seconda delle percentuali.

Il problema però è che un calcolo di questo genere avrebbe pienamente senso se le elezioni europee fossero tra poche settimane. Il considerare imminenti elezioni in realtà lontane molti mesi produce invece un effetto devastante: la paralisi e l'afasia, slogan e retorica a parte. L'equivoco è particolarmente esiziale perché, salvo risultati sorprendenti e sempre possibili però poco probabili, queste Europee attese come il responso della Pizia non diranno invece nulla. Il Pd, presumibilmente, si attesterà in quella forbice tra i 19 e il 22 per cento che lascerà il quadro immutato. I 5S potranno rosicchiare uno o due punti percentuali, oppure perderli, e neppure questo altererà la situazione. La prova vera arriverà con le Regionali, quelle dell'anno prossimo e soprattutto quelle del 2025. L'opposizione ci arriverà avendo perso oltre un anno e in condizioni di diffidenza profonda tra i partiti. Il Pd ci arriverà dopo aver prolungato di un altro anno l'armistizio paralizzante. Non si tratterà del viatico migliore per una prova che, a differenza delle europee, dirà moltissimo. Se il Pd dovesse perdere due delle quattro Regioni che governa (in ballo Emilia, Toscana, Campania e Puglia) o se dovesse crollare in una delle prime due, le roccaforti, l'esito sarebbe un disordinato e caotico si salvi chi può e la segretaria proprio non potrebbe.