«La missione non è compiuta» : il commissario Gentiloni certifica così l'impossibilità di raggiungere l'intesa sul nuovo Patto di Stabilità nel corso dell'Ecofin di ieri a Bruxelles. Il tentativo è stato esperito a partire dalla cena conviviale di giovedì sera sino alle 3 di notte poi è stato chiaro che l'ultimo miglio non si poteva percorrere subito. Hanno trattato e continueranno a trattare Francia e Germania, in rappresentanza rispettivamente dei Paesi ad alto debito, soprattutto meridionali, e dei frugali, ma con incursioni frequenti della Spagna, che come presidente di turno ha preparato la bozza di compromesso, e dell'Italia che, anche se a Bruxelles tutti lo negano, rappresenta da sola parte integrante del problema perché mette sul tavolo la possibilità di non firmare un accordo insoddisfacente. In questo caso lo bloccherebbe, perché è necessaria l'unanimità, e comunque Roma continua a tenere in sospeso la ratifica della riforma del Mes, dove pure è necessario l'accordo di tutti gli Stati membri.

Gentiloni, come in realtà tutti, resta molto ottimista: «Possiamo essere sufficientemente fiduciosi su un accordo entro l'anno». Potrebbe essere necessaria una riunione straordinaria dei ministri delle Finanze convocata tra il prossimo Consiglio europeo, il 14 e 15 dicembre, e la fine dell'anno. Ma è difficile credere che, poco importa se in via ufficiale e ufficiosa, il Consiglio, cioè la vera istituzione centrale della Ue, non discuta un tema di tale importanza arrivato ormai al momento della verità. Una bozza di compromesso, firmata dai 4 Paesi maggiori, già ci sarebbe anche se il contenuto non è noto. Nei prossimi giorni dovrebbero analizzarlo e discuterlo tutti gli altri Paesi. Se fosse del tutto vero, la soluzione sarebbe a un passo minimo perché è difficile contestare un testo concordato da Germania, Francia, Italia e Spagna. È probabile però che anche tra i 4 Paesi principali l'intesa su tutti i dettagli non sia ancora stata raggiunta.

Nel corso della lunghissima cena è emerso quel che era in realtà chiaro sin dalla vigilia: il nodo che ancora ostacola l'accordo riguarda un punto specifico: il rientro dal disavanzo sul deficit. Il ministro francese LeMaire considera la proposta avanzata dal suo Paese una «linea rossa» invalicabile perché, ha ripetuto a cena, senza quella regola verrebbe meno ogni equilibrio tra rigore e possibilità di investire. La Germania ha strappato una clausola che fissa allo 0,5 per

cento del Pil il rientro annuo sul deficit. La Francia propone sostanzialmente di portare quella quota allo 0,3 purché il rimanente 0,2 sia investito appunto nelle spese strategiche, green, digitale e difesa. Non si tratta, sia chiaro, di una versione ammorbidita della proposta italiana, scorporo delle spese strategiche dal calcolo del deficit: di quello il ministro delle Finanze tedesco Lindner non vuol neanche sentir parlare. Lo scorporo si applicherebbe non al conto del deficit, allontanando il rischio di procedura d'infrazione, ma sulle modalità del rientro una volta scattata la proceduta. Del resto Lindner, sempre al desco, è stato chiaro e tassativo: «I deficit vanno ridotti e non scusati. L'attuale procedura contiene già margini di flessibilità sufficienti».

Il problema è che la Germania, dopo la sentenza della Corte costituzionale che ha vietato il gioco delle tre carte grazie al quale 60 miliardi presi a debito per il Covid erano stati adoperati per gli investimenti senza contarli nel deficit si trova costretta a un politica di rigore che i tedeschi non accetterebbero se non la vedessero applicata anche negli altri Paesi dell'Unione. La fase non aiuta: con l'AfD che vede crescere i consensi nei sondaggi e minaccia un'affermazione scioccante il 9 giugno, Lindner, già di suo falco convinto, non può fornire ai sovranisti estremi della AfD anche questo arrgomento.

Giorgetti ha suonato la stessa musica di LeMaire, aggiungendo che biosgna «essere coerenti con gli obiettivi strategici che ci siamo dati». Ha poco senso impegnare i Paesi nella riconversione ecologica salvo poi rendere impossibili gli investimenti necessari. In più, nei colloqui informali, il ministro italiano ha giocato la carta della ratifica del Mes, promettendo di sbloccarla entro una settimana dopo l'accordo, cioè in cambio di margini di flessibilità sia nel rientro sul debito, dove pure la Germania ha imposto una clausola di garanzia rigida, botte da 1 per cento del Pil ogni anno, in soldoni 20 mld di uscite fisse, sia sul deficit. Per ora non ha ottenuto molto. Per quanto il fantomatico testo di compromesso dei 4 Paesi sia ancora ignoto, dovrebbe trattarsi di un margine di flessibilità, che ciascun Paese dovrebbe trattare con la Commissione, per il periodo 2025- 27, ma 7 Paesi sarebbero contrari a tanta larghezza e la stessa Germania non si capisce quanto sia convinta.

Per l'Italia la mazzata sarebbe pesante e forse per questo Giorgetti ripeteva ieri che tornare alle vecchie regole, molto rigide però mai davvero applicate per intero, sarebbe meglio che firmare un brutto accordo.