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Chiuso per elezioni, o quasi. Non stiamo parlando di un istituto scolastico, bensì del Parlamento nazionale. E di un paradosso che si sta aggiungendo agli altri già numerosi della vita politica del nostro paese. In modo non dichiarato (talvolta subdolo) c’è una prassi sempre più in voga che sta ulteriormente rallentando la produttività delle Camere e la loro efficienza, già da tempo nel mirino degli addetti ai lavori per diversi motivi. All’appressarsi di qualsiasi tipo di consultazione elettorale, infatti, l’attività di Camera e Senato non si limita a concedere agli eletti direttamente coinvolti (e di riflesso a tutti) il classico weekend lungo per poter partecipare alle iniziative elettorali, ma l’intera settimana. Il tutto, senza che l’attività parlamentare venga formalmente interrotta, ma con una serie di slittamenti e di calendarizzazioni “chirurgiche” che congelano i dossier più importanti in concomitanza degli appuntamenti elettorali. Col risultato che, data la storica vocazione nazionale alla campagna elettorale permanente e all’elevato numero di appuntamenti di questo tipo tra Regionali e Amministrative, la linea che separa i legislatori dalla paralisi sta diventando sempre più sottile.
Partiamo dalla contingenza: questo weekend si svolgeranno le elezioni regionali abruzzesi, a due settimane di distanza da quelle sarde. Ebbene, in questo lasso di tempo tutte le partite parlamentari politicamente più sensibili sono state sottoposte a una sorta di moratoria non dichiarata: sul fronte del premierato si è sostanzialmente rimasti all’accordo di maggioranza sulla cosiddetta “norma antiribaltone”, che però non è stata ancora votata in commissione come la gran parte del provvedimento.
Si segnala qualche votazione sull’articolo 1 questa settimana, tra cui quella che sposta dal quarto al sesto scrutinio l’abbassamento del quorum alla maggioranza assoluta per l’elezione del presidente della Repubblica, per non contraddire l’ordine di scuderia di Palazzo Chigi di un’accelerazione, che però in concreto non c’è stata.
Anche perché due sole giornate di esame in commissione non può essere definito un colpo d’acceleratore, se si considera che normalmente un testo viene esaminato almeno nei tre giorni centrali della settimana. Nessuno lo dice apertamente, ma il motivo è nell’accoppiata elezioni sarde e abruzzesi. Discorso simile per l’Autonomia, approvata dall’aula di Palazzo Madama un mese e mezzo fa, che alla commissione Affari costituzionali di Montecitorio ha al suo attivo un timidissimo avvio di discussione generale con l’illustrazione del provvedimento da parte del relatore Paolo Emilio Russo e poco altro.
Non è da meno il Dl elezioni, che dopo il voto in commissione sull’emendamento leghista sul terzo mandato - in cui è andata in scena la spaccatura della maggioranza pochi giorni il martedì precedente il voto sardo - è stato congelato e fatto slittare per l’approdo in aula al Senato a dopo il voto abruzzese. Anche in quest’ultimo caso, tutti sanno che il rinvio è figlio dell’apertura delle urne, e visto che la conta interna alla maggioranza poche ore prima del voto in Sardegna non ha portato bene, si è pensato di non ripeterla in aula, dove i leghisti hanno promesso di riprovarci. Questa considerazione introduce un altro tema che sta contribuendo al rallentamento dell’attività legislativa: le frequenza di appuntamenti elettorali che attirano l’attenzione dei media e che vengono considerati dei test sulla popolarità del governo e sui rapporti di forza interni alle coalizioni comporta l’effetto di una verifica continua, e attendere l’esito di questo o quel voto può dunque determinare i destini di questo o quel provvedimento.
Non è difficile pensare che, in caso di una débâcle del Carroccio in Abruzzo dopo la mezza batosta in Sardegna, la corsia del premierato risulterebbe più libera e il terzo mandato definitivamente sepolto, mentre un’altra sconfitta di un candidato meloniano, dopo quella del sindaco uscente di Cagliari Paolo Truzzu, rafforzerebbe le chance per Salvini di strappare il terzo mandato e tenere al suo posto Luca Zaia. Questa prassi, però, ha l’effetto collaterale di trasformare le elezioni locali in un voto di fiducia mascherato, col Parlamento che si comporta esattamente come prevede il regolamento di Montecitorio quando il governo ricorre a questo strumento, e cioè lo stop dell’attività. E siccome da più parti (compreso il Colle) non si è fatto mistero di non gradire il continuo ricorso alla decretazione d’urgenza e ai voti di fiducia da parte dell’esecutivo, aggiungere anche il “fermo elettorale”, in un paese dove da qui a fine anno Abruzzo compreso - ci saranno quattro elezioni regionali, una europea e le Amministrative, non rappresenta una buona notizia.