PHOTO
GIORGIA MELONI PRESIDENTE DEL CONSIGLIO
All'inizio nessuno voleva calcare la mano, tutti rifuggivano l'idea che la campagna referendaria potesse trasformarsi in una prosecuzione della lotta partitica con altri mezzi. E in effetti, a parole la maggior parte dei contendenti continuano a sostenere che le tappe di avvicinamento alla consultazione popolare sulla riforma della giustizia debbano segnare una escalation dei toni e del tasso polemico degli argomenti.
Negli stessi contendenti, però, comincia a farsi strada l'idea che per un referendum che non necessita di quorum per essere convalidato, forse usare il gladio ogni tanto al posto del fioretto, nelle occasioni di confronto tra i partigiani del sì e quelli del no non sarebbe una cattiva idea, viste le dimensioni ormai fuori controllo che il fenomeno dell'astensionismo ha raggiunto.
Una revisione della strategia che investe maggiormente il centrodestra, soprattutto Palazzo Chigi, dove la premier Giorgia Meloni, già all'indomani dell'approvazione definitiva in seconda lettura del ddl Nordio si era affannata a raccomandare ai suoi e agli alleati di non mettere il cappello sui comitati per il sì che, di lì a poco, sarebbero sorti.
Una raccomandazione che, in linea di principio, vale ancora, ma che sta lasciando progressivamente spazio all'idea di una campagna “ibrida”, che preveda cioè una robusta cinghia di trasmissione tra partiti sostenitori del sì e comitati. E così, i rumors degli addetti ai lavori convergono sulla possibilità della creazione di un comitato pro-riforma per impulso del sottosegretario ex-magistrato plenipotenziario tricolore Alfredo Mantovano, detentore di tutti i dossier più scottanti in capo a Palazzo Chigi (buon ultimo anche quello sul ponte sullo Stretto).
Che le cose si stiano muovendo rapidamente e verso questa direzione lo confermano anche i retroscena secondo cui si sarebbe svolto martedì pomeriggio nella sede di Fratelli d'Italia un vertice informale dei comitati per il sì patrocinati dal centrodestra per arrivare a un coordinamento unico della campagna. La riunione sarebbe stata presieduta da Arianna Meloni, e questo avvalora la tesi della parziale retromarcia della Fiamma sulla questione della politicizzazione, ma soprattutto dell'intenzione di Meloni e Mantovano di non lasciare campo libero a Forza Italia nella competizione per la vittoria del sì, “contenendo” in qualche modo l'alleato azzurro, smanioso di far passare l'eventuale vittoria della riforma in una storica revanche nel nome di Silvio Berlusconi.
Una battaglia “ibrida” dunque, con comitati a metà strada tra giuristi e politici, presieduti da figure autorevoli e riconoscibili anche dal grande pubblico. La partita, a quanto pare, non sarà all'insegna del fair play, e le vicende che hanno accompagnato la composizione del panel sulla giustizia di Atreju, programmato per il prossimo giovedì 11 dicembre, la dice lunga: inizialmente al ministro della Giustizia Carlo Nordio, per il no alla riforma, avrebbe dovuto contrapporsi il procuratore della Repubblica di Napoli Nicola Gratteri, per un match ad alto tasso di spettacolarità.
Qualcosa (o qualcuno), però, avrebbe consigliato a quest'ultimo di declinare, forse per il rischio che qualcuno facesse leva, al culmine dello scontro dialettico, sui recenti infortuni del magistrato, e la scelta delle toghe per contrastare il Guardasigilli è caduta sulla giudice Silvia Albano, presidente di Md ma soprattutto firmataria della sentenza con cui il Tribunale di Roma ha smontato la strategia del governo per l'allestimento dei centri migranti in Albania, attirandosi le ire della presidente del Consiglio e di tutta la maggioranza.
La politica, dunque, entrerà eccome nel dibattito referendario, e verosimilmente la spunterà chi saprà “bucare” a livello comunicativo verso il corpo elettorale e motivarlo a partecipare. In quest'ottica, lo stesso testimonial principale del sì, vale a dire Antonio Di Pietro, ha compreso che sarebbe inutile adottare l'understatement in un tale contesto, e non a caso scenderà nell'arena anche lui l'11 dicembre.


