Sempre più lo scenario della politica assume i contorni di una giostra impazzita. Forse lo stop lo segnerà a breve il voto di fiducia, se ci sarà, sullo ius soli. O forse infine sarà Sergio Mattarella a suonare il gong di fine corsa a scadenza naturale. Una sfida tutti contro tutti che finirà nelle mani del Colle

Sempre più lo scenario della politica assume i contorni di una giostra impazzita. Forse lo stop lo segnerà a breve il voto di fiducia, se ci sarà, sullo ius soli. O forse arriverà a inizio autunno con la micidiale accoppiata elezioni regionali siciliane- legge di stabilità. O forse infine sarà Sergio Mattarella a suonare il gong di fine corsa a scadenza naturale: in fondo è ciò a cui sta lavorando da mesi. In ogni caso, dissolto il polverone sollevato dalle amministrative con i sussulti di un bipolarismo di ritorno più vicini alla nostalgia che alla realtà, sarà giocoforza tornare con i piedi per terra e riandare ad alcune condizioni di base che poi sono le regole entro cui si svolgerà lo scontro elettorale. La prima è che se, come tutto lascia pensare, non ci sarà una nuova legge elettorale - e quindi la competizione si svolgerà con i meccanismi oggi in vigore per Camera e Senato - ogni partito correrà per sé. Vero è che almeno per Montecitorio la spinta sarebbe verso listoni unitari.

Ma non ce ne sono le condizioni, né a destra come a sinistra. Perciò sarà un tutti contro tutti, con i leader di ciascun partito impegnati ad avere almeno un voto in più degli avversari. Del resto, si tratta della condizione fondamentale per ricevere dal Quirinale l’incarico di formare il governo. Che poi, chiunque sia il designato, ci riesca è tutt’altro paio di maniche.

Non c’è dubbio che i giochi veri si faranno solo una volta chiuse le urne e misurati i rapporti di forza. Tuttavia - ed è questo l’elemento di maggior spicco - più passano le settimane più la possibilità di costituire alleanze si allontana. A destra, la distanza tra Berlusconi e Salvini si consolida e non si capisce chi o cosa possa accorciarla. A sinistra, il confronto ha preso la piega dello scontro personale: forse sarebbe più giusto dire caratteriale. E pare una strada senza ritorno.

Perciò lo scenario - a meno di resipiscenze nel centro destra sembra prevedere una lotta all’ultima scheda per chi arriverà primo tra Matteo Renzi e il candidato dei Cinquestelle. Significa che il segretario del Pd, anche in caso di un rovescio in Sicilia, giocherà comunque la carta della premiership, si presenterà comunque davanti agli italiani a chiedere voti per tornare a palazzo Chigi. Del resto, dal suo punto di vista, cos’altro potrebbe fare? Accettare il pressing di chi lo vuole solo al Nazareno a far da supporto ad un premier diverso da lui, equivarrebbe a un ridimensionamento esiziale sia dal punto di vista politico che personale.

Ma nell’eventualità, assai probabile, in cui il Pd a immagine e somiglianza del suo leader non ottenesse i voti per governare da solo con chi Renzi, pur con l’incarico in tasca, potrebbe allearsi? La rinuncia alla candidatura da parte di Giuliano Pisapia secondo alcuni sarebbe un modo per mantenere un profilo da esterno, più facilmente riconducibile al ruolo di capo di un rassemblement di sinistra. Un percorso, comunque lo si valuti, piuttosto tortuoso. Si vedrà. Resta che la possibilità che si realizzi una intesa tra chi, già adesso e ancor più in campagna elettorale, si scambia fendenti e accuse senza se e senza ma, pare davvero improbabile. E sarebbe difficilmente accettata dai rispettivi elettorati. Perciò, piaccia o meno e pur se adesso entrambi i possibili contraenti si affannano a smentirlo, il piano della governabilità possibile sarà sempre più inclinato verso una liaison tra Renzi e Berlusconi. I modi e i tempi saranno fantasiosi, ma la realtà resterà quella.

Poi ci sono i Cinquestelle. Nelle scorse settimane è stata rilanciata l’eventualità di un accordo tra il MoVimento e gli scissionisti del Pd guidati da Bersani. La propensione verso destra che ultimamente contraddistingue i grillini rende impervia la strada. Senza contare che ci sarebbe il problema dai voti necessari per costituire una maggioranza: un ostacolo presumibilmente insuperabile. E dunque? Dunque anche in questo caso, benché smentita in tutti modi dai protagonisti, la possibilità, si vedrà quanto stretto, di un intreccio governativo comune tra M5S e Salvini, è assai più di una ipotesi di scuola.

Il risultato è che tra pochi mesi la vera partita giocata nella riservatezza dei seggi elettorali non sarà quella ufficiale e di facciata per stabilire quale forza politica e quale leadership premiare, quanto piuttosto che piega prenderà la governabilità di uno dei più importanti Paesi europei. Gli italiani, cioè, saranno chiamati a decidere quale delle due ipotesi privilegiare: se affidarsi al binomio Renzi- Berlusconi in nome della salvaguardia della cittadella politico- istituzionale tradizionale, oppure se spingersi oltre le colonne d’Ercole mettendosi nelle mani di una combinazione populista- sovranista.

Forse alla fine ci si accorgerà che nessuna delle alleanze possibili ha i numeri per governare. E allora il pallino tornerà nella mani di Mattarella. Di sicuro scotterà, e molto.

Ma il rischio peggiore è che se sul serio la scelta sarà solo ed unicamente tra quelle due ipotizzate sopra, una moltitudine di elettori ancora più vasta di quella già vista all’opera diserti le urne, non riconoscendosi in nessuno dei due corni dell’alternativa. Vorrà dire che l’Italia dovrà affrontare uno dei passaggi più difficili con metà e più del Paese che gli volta le spalle. Un incubo.