Viktor Orbàn alla fine cede e Giorgia Meloni rivendica i suoi meriti. Finisce così il Consiglio europeo straordinario che aveva al centro un obiettivo: garantire il sostegno economico all’Ucraina (un pacchetto da 50 miliardi di euro) superando le resistenze ungheresi. Il presidente magiaro non ha fatto ricorso al suo potere di veto anche in virtù di un compromesso politico secondo il quale «se necessario, fra due anni il Consiglio europeo inviterà la Commissione a presentare una proposta di revisione del pacchetto di aiuti nel contesto della revisione del bilancio comunitario».

I soldi a Kiev non verranno congelati e Orbàn ottiene in cambio l’agibilità politica in Europa (oltre alle rassicurazioni sui fondi destinati a Budapest). Sì, perché è stata proprio questa la minaccia sventolata da Ursula von der Leyen, Emmaneul Macron, Olaf Scholz e Giorgia Meloni: privare l’Ungheria di ogni diritto di voto a Bruxelles, in base alla possibile attivazione dell’articolo 7, paragrafo 2, del Trattato costituivo dell’Unione. Lo stesso articolo invocato dal Parlamento europeo poco più di due settimane fa, contro la scelta della Commissione di sbloccare i fondi destinati a Budapest.

Argomento parecchio convincente per Orbàn, che con le spalle al muro ha portato a casa l’accordo senza tirarla troppo per le lunghe: «Missione compiuta. I fondi dell’Ungheria non finiranno in Ucraina e disponiamo di un meccanismo di controllo alla fine del primo e del secondo anno. La nostra posizione sulla guerra in Ucraina rimane invariata: abbiamo bisogno di un cessate il fuoco e di colloqui di pace», ha postato su X, poco dopo Orbàn, trasformando una parziale sconfitta in una vittoria.

Ma l’unica vera vincitrice della partita resta la premier italiana Meloni, che al termine del Consiglio straordinario ci tiene a mettere in chiaro i suoi meriti per l’esito positivo della mediazione. «Negli incontri con il primo ministro ungherese chiaramente io ho lavorato cercando di portare a un punto che ci consentisse di non dividere l’Europa in un momento come questo», ha detto Meloni, forte del suo rapporto privilegiato con Orbàn, che la Lega ha provato a sottrarle subito dopo lo scoppio del caso Salis.

«Perché noi abbiamo altri problemi. In Europa bisogna saper dialogare con tutti e credo che quello che è accaduto nelle ultime ore dimostri che, quando ho sempre sostenuto che non puoi pensare di risolvere i problemi parlando con due o tre persone, non sbagliavo», ha aggiunto la premier, rimarcando la sua «capacità di dialogare con tutti apertamente, rivendicando quelli che sono i propri interessi ma cercando di comprendere il punto di vista degli altri, alla fine fa la differenza». Il dialogo fa la differenza, certo, soprattutto se dalla tua ci sono una serie di argomenti che possono interessare e parecchio il tuo interlocutore.

Perché a portare Orbàn a più miti consigli non è stata solo la “minaccia” della revoca di ogni diritto politico nell’Unione, anche le possibili contropartite messe sul tavolo hanno avuto il loro peso. E chi se non Meloni era in grado di aprire uno spiraglio interessante al presidente ungherese che da tempo cerca una famiglia europea d’adozione? Dopo essere uscito dal Gruppo dei Popolari, infatti, Fidesz, il partito di Orbàn, vaga da apolide tra i banchi di Bruxelles.

Non è un mistero che l’Ecr, il gruppo europeo dei Conservatori e dei riformisti guidati proprio dalla leader di Fd’I, sia uno dei possibili approdi della formazione ungherese. E consapevole di questo suo potere, Meloni ha lasciato aperto molto più di uno spiraglio per ammorbidire l’amico riluttante. «È un dibattito aperto, non credo che sia un dibattito di questi giorni o di questi mesi, credo che eventualmente sia un dibattito che si aprirà dopo le elezioni europee», ha detto la premier italiana a proposito dell’ingresso di Fidesz nell’Ecr.

Del resto, dove c’è spazio per Vox e per buona parte delle formazioni ultranazionaliste europee, perché non dovrebbe trovare posto anche il partito di Orbàn? Gli assalti allo Stato di diritto, l’euroscetticismo, le accuse di filoputinismo al leader magiaro sono solo dettagli trascurabili. Per ora Meloni si porta a casa una vittoria da sventolare in faccia agli alleati che contano, Francia e Germania in testa. Le somme si tireranno solo a giugno, all’indomani del voto europeo.