Quel vertice al Viminale è tra le istantanee- chiave della vicenda che ora vede il capoluogo pugliese a rischio commissariamento. E sì, perché se il sindaco di Bari Antonio Decaro, nella conferenza stampa di tre giorni fa, ha descritto la missione del mese scorso al ministero come un agguato politico, in realtà i protagonisti dell’incontro con Piantedosi, che ha preceduto ( e probabilmente innescato) l’invio della commissione d’accesso, rivendicano appieno il loro ruolo. Anzi, spiegano di essere «sconcertati» dalla «lettura capovolta con cui persino un giornale come il Dubbio, considerato anche da noi ricco di competenza e capacità di approfondimento, ci tratta da agitatori della giustizia a orologeria. Tanto per cominciare, che c’entra la giustizia? Il ministro dell’Interno agisce in base a norme che non sono ascrivibili alla materia penale. Indagini e processi sono un’altra cosa. Sono casomai il presupposto e l’origine della nostra preoccupazione, tanto per essere chiari».
Tra i 7 parlamentari baresi o comunque pugliesi che a fine febbraio avevano sottoposto a Piantediosi il “caso Bari”, ci sono innanzitutto il viceministro azzurro della Giustizia Francesco Paolo Sisto e un altro componente del governo, il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato, di Fratelli d’Italia. Con loro, il brindisino Mauro D’Attis, sempre di FI, che è vicepresidente della commissione Antimafia, i leghisti Davide Bellomo, Rossano Sasso ( deputati) e Roberto Marti ( senatore) e un altro meloniano, Filippo Melchiorre, anche lui in forza alla bicamerale di Palazzo San Macuto. Insistono nel definire «terrificante» l’inchiesta della Dda di Bari che ha portato a 130 arresti, con accuse di 416 bis e, soprattutto, di pesanti infiltrazioni nella più grande municipalizzata di tutta la Puglia, l’Amtab, che gestisce i trasporti a Bari. In effetti, smentire la delegazione di centrodestra sulla gravità del quadro dipinto dalla Procura è difficile. Ma si tratta pur sempre di ipotesi d’accusa. «Corroborate, attenzione, da elementi chiarissimi, da intercettazioni in cui un esponente di primo piano del più feroce clan mafioso pugliese, i Parisi, afferma il proprio incontrastato potere sull’azienda di mobilità». La quale però, secondo i pm, sarebbe vittima e non collusa: di fatto una società pubblica sotto ricatto, i cui dirigenti ( a cominciare dall’avvocato Sabino Persichella, che presiedeva il Cda) a uno a uno scappano, pur di non sottostare ai diktat criminali sulle persone da assumere. «Ma vi risulta», è la replica dei parlamentari di maggioranza, «che qualcuno abbia sporto denuncia? Al di là della messinscena allestita da Decaro in conferenza stampa, con i faldoni e gli articoli affissi alle pareti, il sindaco di Bari, che controlla l’Amtab al 100%, ha per caso potuto esibire un esposto suo o di persone a lui vicine in cui si denunciavano ai magistrati le pressioni subite dalla mafia? No, non c’è nulla. Ma per carità, non vogliamo arrivare ad alcuna conclusione. Vediamo cosa emergerà dal lavoro della commissione d’accesso. Certo però è che il primo cittadino, in quanto socio unico, risponde eccome di quanto avviene nella utility più importante del suo comune. E la situazione di quella utility, di quell’azienda trasporti, è da incubo. Un crocevia di interessi criminali, di clientele inquinate. Aspettiamo l’esito delle verifiche, ma dire che la giunta Decaro è vittima di un attacco strumentale è una barzelletta che non fa ridere».
Il punto è: rivolti a un centinaio di giorni dal voto, i suggerimenti a Piantedosi sembrano comunque ascrivibili alla categoria della lotta politica. «Non è colpa nostra», è l’obiezione di chi ha incontrato il capo del Viminale, «se la Dda di Bari ha scoperchiato, con 130 arresti, un quadro cosi fosco a tre mesi dal voto. E quel quadro, evidentemente, i magistrati non se lo inventano. Noi non vogliamo vedere la nostra Bari ridotta così. Non è sopportabile. Non ci auguriamo il commissariamento, sappiamo che sarebbe un colpo durissimo per l’immagine della città. Ma chi ha assistito inerte all’opa ostile del crimine nei confronti delle aziende pubbliche non può parlare da vittima. Deve interrogarsi sul proprio silenzio e sulle proprie omissioni».
In realtà Decaro, oltre a dirsi vittima di un attacco politico, ha fatto ricorso a toni altrettanto duri: ha detto che i protagonisti della “missione” al Viminale «parlano come nelle scene di Gomorra, “ci prendiamo Bari”, dicono». La risposta: «Non lo quereliamo solo perché non abbiamo tempo da perdere». C’è ancora un paradosso: ieri i giornali meno benevoli col governo, per esempio Repubblica, hanno ribaltato il quadro e titolato a tutta pagina “I voti dei clan alla destra”. «Ci sono aspetti della questione che renderemo noti lunedì in conferenza stampa», spiegano i rappresentanti pugliesi del centrodestra, «aspetti relativi anche a Giacomo Olivieri e a sua moglie, la consigliera Mary Lorusso, ai loro ruoli, ai rapporti tra loro e il sindaco». Della serie: non è che l’inizio. Certo colpisce vedere il centrodestra, e innanzitutto Forza Italia, schierati su una linea cosi intransigente riguardo a vicende che in ogni caso provengono dalle carte dei pm, e che non possono essere considerate verità processuali. «Noi abbiamo chiesto chiarezza. Chi scrive che avremmo ordinato a Piantedosi di mandare la commissione d’accesso non conosce il ministro: se gli avessimo intimato qualcosa ci avrebbe mandato a quel paese», e qui la sintesi del cronista è significativamente edulcorata rispetto all’espressione originale. «È Decaro a essersi presentato dal capo del Viminale e ad avergli detto “dai, lascia stare, non fare nulla...”».
Che ne sarà di Bari? «Confidiamo che la città esca più forte di prima. Forse non sarà così per Decaro, che già si vedeva in rampa di lancio per l’Europarlamento, per la candidatura a governatore... Ora gli frana tutto, ovvio, così come a Bari un sistema si è inquinato sotto i suoi occhi senza che muovesse un dito. Le sue lacrime le avete spacciate per commozione: forse nascono dalla consapevolezza dell’orizzonte che gli si è improvvisamente oscurato».