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Berlusconi Salvini Meloni
La corsa al Colle è, prima di tutto, una questione di numeri. Lo è da sempre, lo è stata quando Giovanni Leone fu eletto con la maggioranza più risicata, il 51 per cento appena, pari a 518 voti, e quando, sette anni dopo, Sandro Pertini fu eletto con quella più ampia, l’ 82,3 per cento, pari a 832 voti. Lo sarà anche questa volta, nella seconda metà di gennaio ( la presidenza della Camera non ha ancora deciso la data del primo voto, ma ha fatto sapere che sarà tra il 18 e il 28 gennaio), quando i 1.008 grandi elettori si riuniranno a Montecitorio. Serviranno 676 voti nei primi tre scrutini, 505 dal quarto in poi. Questione di numeri.
Il primo a “far di conto” ormai da settimane, è Silvio Berlusconi. Ipotesi impensabile fino a qualche mese fa, diventata credibile dalla nascita del governo Draghi in poi, fortemente voluto dal Cavaliere. Cosa la rende possibile? Il trovarsi immersi nella legislatura più pazza della storia repubblicana, dove nessun leader di partito controlla davvero i propri parlamentari e dove, nel giro di tre anni, si è passati dal primo governo sovra- populista d’Europa a guida Lega- Movimento 5 Stelle a uno degli esecutivi più europeisti e atlantisti della storia repubblicana, guidato dall’ex presidente della Banca centrale europea. E così Berlusconi sta facendo i suoi conti, si prepara al forcing finale grazie all’ormai consueto periodo di benessere nel relais di Merano, e chiama uno a uno i grandi elettori che potrebbero fare da ago della bilancia, la maggior parte nel gruppo Misto e tra i grillini. Ma nessuno realmente sa se l’ex presidente del Consiglio stia lavorando davvero per se stesso o se stia tessendo una trama che lo porti a far eleggere un presidente della Repubblica di suo gradimento.
Una cosa è certa: per far eleggere un capo dello Stato che non sia espressione del centrosinistra, che non sia “di parte” come ha detto il segretario del Pd, Enrico Letta, il centrodestra deve restare compatto.
Anche perché, come spiegato numeri alla mano dal leader di Italia Viva, Matteo Renzi, ospite di Fratelli d’Italia alla festa di Atreju, considerati i delegati regionali lo schieramento di centrodestra può dettare legge nella scelta del prossimo inquilino del Quirinale. A patto, chiaramente, di racimolare qualche altra decina di voti qua e là.
Chi meglio di Silvio Berlusconi per fare opera di convincimento? «Per Fratelli d’Italia l’unità del centrodestra rappresenta un valore fondamentale e sono sicura che se questa ipotesi ( Berlusconi al Colle, ndr) non dovesse essere più percorribile troveremo insieme un’alternativa», ha detto ieri la vicepresidente vicaria del gruppo al Senato di Fd’I, Isabella Rauti.
Di pari passo con il grande capo di Forza Italia, si sta muovendo anche il numero uno della Lega, Matteo Salvini, che ha iniziato ieri un giro di telefonate con i vari leader. «Chiamerò tutti i segretari, chiedendo un momento di incontro, confronto e condivisione, per evitare di arrivare a metà gennaio con “il liberi tutti”», ha spiegato l’ex ministro dell’Interno, che cellulare alla mano è partito proprio dal Cavaliere. Chi non ha accettato il confronto è stato Carlo Calenda, che ha detto di fare «volentieri» a meno delle telefonate di Salvini, pur ribadendo di non avere «nessun problema» circa l’elezione di un presidente della Repubblica di area centrodestra perché «il centrodestra moderato sono i popolari, una grande cultura che ha fatto l’Europa, non la destra sovranista e anti Europa».
E allora, se capo dello Stato di quell’area dev’essere, si alzano nel toto Quirinale le quotazioni di Marcello Pera, già presidente del Senato nel terzo governo Berlusconi, ma anche quelle dell’attuale presidente di palazzo Madama, Maria Elisabetta Alberti Casellati. Ma è lo stesso Calenda anche anche la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, «non è certamente una personalità di sinistra», riproponendola come prima presidente della Repubblica donna, ipotesi che il leader di Azione fa ormai da settimane.
Ma se davvero sarà la Guardasigilli a vincere la corsa al Colle, magari sostenuta dall’intero centrodestra, lo diranno, ancora una volta, i numeri.