Non c’è solo la spaccatura interna al Csm sul caso di Iolanda Apostolico, la giudice di Catania finita nel mirino del governo per non aver convalidato il provvedimento di trattenimento di tre tunisini sulla base del decreto Cutro. A fibrillare è anche Magistratura Indipendente, la corrente conservatrice delle toghe, che ha scelto di non aderire alla richiesta di una pratica a tutela avanzata dai colleghi togati, avvertita - questa la spiegazione ufficiale - come un atto politico.

Ma fino all’ultimo, tra i consiglieri di MI, c’è stato chi ha tentato di convincere i colleghi a partecipare all’iniziativa, trovandosi isolato, fino ad essere costretto a rinunciarvi. A generare tale tensione due diverse esigenze: quella di difendere la giudice dai gravi e oggettivi attacchi della politica, spintasi fino al punto di considerarla un ostacolo alla difesa dell’ordine pubblico, e quella di non disperdere il tesoretto di sette voti provenienti dalla componente laica di centrodestra, grazie al quale MI, dopo anni di magra, può sperare di portare a casa quante più nomine possibile.

Una scelta complicatissima, resa ancora più imbarazzante dalla reazione dei vertici della corrente, che dall’esterno di Palazzo dei Marescialli hanno deciso di schierarsi con Apostolico, di fatto sconfessando i colleghi in Consiglio. Da un lato, infatti, c’è stato Salvatore Casciaro, segretario generale dell’Anm, che ha condiviso la nota del sindacato delle toghe secondo cui «le dichiarazioni espresse da esponenti del Governo e della maggioranza parlamentare a commento della non convalida di provvedimenti di trattenimento esprimono una preoccupante visione delle prerogative di verifica di legalità esclusivamente attribuite alla magistratura e ne minano l’indipendenza e l’autonomia». Dall’altro, invece, il segretario generale Angelo Piraino e il presidente Stefano Buccino, che si sono opposti «alla critica dei provvedimenti basata su slogan o sul processo alle intenzioni di chi li emette, perché crea una dannosa contrapposizione tra istituzioni democratiche, che rischia di lasciare i cittadini disorientati e di compromettere la loro fiducia nelle istituzioni».

Così i consiglieri di MI sono finiti per trovarsi isolati, nonostante una riflessione durata circa 24 ore. La pratica a tutela è stata presentata da 13 togati su 20 - gli indipendenti Roberto Fontana e Andrea Mirenda e gli esponenti di Area, Unicost ed Md - ed è rimasta in sospeso per tutto lunedì, per dare la possibilità alla corrente conservatrice di esprimersi. Martedì mattina, come noto, il gruppo ha sciolto la riserva, giustificando il proprio no con l’esigenza di non fare politica in Consiglio. Ma sullo sfondo, dicono gli osservatori più attenti, rimane sempre la logica del «nominificio».

E anche l'atteggiamento di Area, sussurrano voci interne a Palazzo dei Marescialli, sarebbe strategico: la richiesta di una pratica a tutela sarebbe stata proprio un modo per far venire allo scoperto i colleghi di Magistratura Indipendente, sperando, in caso di adesione, di minare l’asse con la componente laica di centrodestra, e in caso di dissociazione, com’è accaduto, di suscitare una crisi di consenso da parte della magistratura associata, indignata per la scelta di non difendere un magistrato finito nel mirino non per il merito del suo provvedimento, ma per il fatto stesso di essere un giudice. Insomma, l’obiettivo finale sarebbe stato quello di provocare una crisi di potere, dentro o fuori il Palazzo. E la componente togata di MI avrebbe preferito mantenere saldo l’asse con la componente laica, per evitare di perdere preziose occasioni in vista delle nomine future.

La lotta di potere all’interno del Csm è tutt’altro che sopita. E potrebbe emergere con evidenza nel caso di calendarizzazione della pratica. La decisione dovrebbe arrivare nel giro di una settimana: stando al regolamento del Consiglio, le richieste di intervento a tutela vengono trasmesse dal Comitato di presidenza alla Prima Commissione, che procede alla verifica dei presupposti per avviare la procedura. Se la Commissione dovesse ritenere che i comportamenti segnalati sono lesivi del prestigio e dell'indipendente esercizio della giurisdizione e siano tali da determinare un turbamento al regolare svolgimento o alla credibilità della funzione giudiziaria, delibererà a maggioranza l'apertura della pratica, procedendo all'istruttoria e alla formulazione della proposta da sottoporre al Consiglio; in caso contrario ne proporrà l’archiviazione.

La proposta verrà depositata presso la segreteria generale del Consiglio e dopo dieci giorni sarà considerata definitivamente approvata. Se entro dieci giorni dalla comunicazione del deposito almeno la metà dei componenti del Consiglio dovesse avanzare richiesta di apertura della pratica, gli atti saranno trasmessi alla Prima Commissione per la trattazione e la formulazione della proposta da sottoporre all'approvazione del Consiglio. All'interno del quale, dice una fonte, il clima «è da basso impero».