Mancano trenta giorni al referendum costituzionale, passaggio che viene unanimemente considerato lo spartiacque della legislatura. I pezzi sulla scacchiera politica di vanno posizionando in maniera definitiva: la vicenda "surreale" (definizione di Renzi) del possibile slittamento del voto se da un lato ha provocato l'irritazione di Sergio Mattarella dall'altro ha confermato che allo stato non esistono spazi di dialogo tra i sostenitori del Sì e quelli del No. Dunque ognuno per la sua strada: la posta è altissima, il pareggio non esiste, chi prevale sarà padrone del campo fino alle elezioni politiche. Chi è che rischia di più, e chi è meglio piazzato? Vediamo.Cominciamo dal Pd, partito-cardine del sistema. Come era chiaro da mesi, i Democratici andranno divisi alle urne: renziani da un lato, sinistra dall'altro. Le giravolte sulla Commissione per la riforma elettorale non hanno avuto esito. È un risultato per il quale nessuno può cantare vittoria. Matteo Renzi pur avendo in mano tutte le leve del potere non è riuscito a trovare il bandolo di un pax strutturale per il partito. Ai fini della sua leadership si tratta di un vulnus destinato a pesare. Sul fronte opposto, le opposizioni hanno inanellato infinite piroette per poi rimanere di là dal Rubicone, con le armi in pugno. Difettano di una proposta politica credibile né hanno una figura altrettanto carismatica da opporre al premier in grado di sostituirlo. Il risultato è che qualunque sia l'esito della consultazione popolare, il Pd è destinato a rimanere in fibrillazione, con scosse di assestamento che perennemente si autoriproducono perché non assestano bensì dissestano.Renzi ne è consapevole e ha cercato di uscire dall'imbuto cercando carsicamente un appeasement con Silvio Berlusconi. Inutilmente. Il fondatore di Forza Italia è un partner esigente che non può essere arruolato solo per presunte convenienze. Ha le sue priorità e i suoi interessi. Piacciano o meno, chi cerca una intesa con lui deve essere pronto a pagare alcuni prezzi. Il premier ha puntato sulla propria scaltrezza e sull'oggettiva a difficoltà dell'ex inquilino di palazzo Chigi. Ne è nata un'alleanza sbilenca che al primo soffio di vento contrario (e che soffio: l'elezione del capo dello Stato), è finita in pezzi.Resta che si tratta del solo equilibrio possibile stante l'indisponibilità dei Cinquestelle a entrare in possibili combinazioni. Dunque può senz'altro rinascere: solo che sarà un patto con un vincitore ed un vinto. E paradossalmente può accadere che, con qualunque esito, gli attuali possibili stipulatori dell'accordo evaporino azzerati dal fuoco amico proveniente dalle proprie stesse fila. Che succederà infatti a Berlusconi se le urne certificheranno la supremazia del presidente del Consiglio? Resterà in sella o verrà travolto dalla ribellione dei colonnelli? Forse è anche per questo che il piatto della bilancia forzista pende sempre più verso il No, unico risultato che lascerebbe a Silvio adeguati margini di manovra. Quanto a Renzi, oggi nessuno è in grado di dire cosa accadrebbe in caso di sconfessione da parte degli elettori. Che sia costretto a lasciare la guida del governo, è quasi certo. Per cosa accadrà al Nazareno ci vorrebbe la zingara, come motteggia Rino Formica.I centristi si agitano. Molto. E in ordine sparso. La profferta di Angelino Alfano a Berlusconi per il rinvio del referendum è caduta nel vuoto: of course. Troppo compromettente e divisiva del campo del centro-destra. E poi quando tuonano i cannoni dello scontro, le colombe debbono per forza rintanarsi. Con il pericolo che dopo il cielo sarà troppo annerito dai fumi per tornare a volare.Ultimo a muovere i suoi pezzi è Beppe Grillo. In tanti sostengono che per lui non ci sono problemi: comunque vada, sarà un successo. Se vince il No, suonerà le trombe delle elezioni anticipate con la legge elettorale che più gli piace: dovrà farsi largo dalla moltitudine di laudatores che gli si assieperanno attorno. E se vince il Sì potrà gridare contro l'uomo solo al comando e possibili inciuci tra Pd e FI.Ci sarebbe infine la legge elettorale, che poi è il bottino vero cui tutti agognano. Tra tribunali, Tar e togati vari è un ginepraio. Le cesoie della Corte costituzionale potrebbero potare quel che le forbici spuntate dei partiti non riescono a fare. Un'altra sconfitta. Esiziale.