Di tregua? Magari. Andrebbe bene anche se fosse armata. Invece minaccia di trasformarsi nel governo che segna la fine- tregua: non più esecutivo Frankenstein bensì Stranamore, che chiude il capitolo armistiziale tra il Quirinale e i “vincitori” delle elezioni e dà il via al conflitto “fine- dimondo” da adesso fino alle elezioni bis. Luigi Di Maio già spara a zero e bolla il tentativo del Colle con il gentile epiteto di «tradimento». Salvini aspetta lunedì, e intanto ha dato mandato alle officine del profondo Nord di recuperare il longobardo martello di Thor.

Insomma la carta che Sergio Mattarella intende mettere sul tavolo e che, secondo la gran parte degli osservatori, dovrebbe rivelarsi vincente, rischia in realtà di tramutarsi nella miccia che fa esplodere e manda in frantumi anche gli ultimi residui di dialogo politico, riaprendo alla grande il dossier, di fatto mai chiuso, dello scontro elettorale.

Per capire come possa accadere che la toppa istituzionale così a lungo preparata risulti al dunque peggiore del buco della certificata e impossibile governabilità, bisogna tener presenti due elementi. Il primo: la capa- cità, il senso di equilibrio, la prudenza, la lungimiranza e il rispetto assoluto dei vincoli costituzionali da parte di Mattarella sono dati inoppugnabili. Per cui se il capo dello Stato si muove verso una direzione è perché ritiene non vi siano altre vie percorribili. Il secondo: mai nessun presidente della Repubblica si è trovato alle prese con un quadro politico così frantumato e incomponibile, con un Parlamento dove impazzano tre minoranze e nessuna maggioranza, e con leader di partito presi da sindrome da cupio dissolvi, incapaci di distinguere tra i loro interessi e quelli del Paese. In breve: nessun accordo politico possibile da un lato; necessità di evitare un ritorno al voto che avrebbe i contorni di un salto nel buio, dall’altro. Il governo di tregua, o del Presidente, nasce di qui: dall’obbligo di garantire all’Italia, alla vigilia di delicate scadenze interne ed internazionali, un quadro di comando nella pienezza delle sue funzioni.

Il pericolo, tuttavia, è che a questo del tutto ragionevole sbocco si sia arrivati tardi e male. In primo luogo va detto che un simile esecutivo avrebbe come guida - ahimè ancora una volta - un premier non espressione della volontà popolare, privo cioè della legittimazione del voto. Sarebbe una sorta di riedizione dell’esperienza di Mario Monti ma con meno forza e ridotta autorevolezza.

In secondo luogo, ferme restando eventuali novità che potrebbero arrivare lunedì nell’ultimo giro di consultazioni, allo stato non è chiaro su quale maggioranza il governo di tregua poggerebbe. L’M5S ha già detto di no e quel diniego verosimilmente si portebbe appresso anche quello della Lega; che a sua volta trascinerebbe anche il resto del centrodestra. Renzi ha fatto trapelare di essere invece favorevole, ma a patto che anche altre forze politiche si esprimano per il sì. Insomma assai alta è l’eventualità che il governo di tregua venga bocciato dalle Camere. Se così fosse, il premier appena sfiduciato non potrebbe far altro che salire al Colle per dimettersi. A quel punto Mattarella avrebbe teoricamente dinanzi a sè due strade: o riaprire le consultazioni in una condizione di evidente drammatizzazione politica, oppure sciogliere il neo- eletto Parlamento e riportare gli italiani alle urne tra la fine di settembre e i primi di ottobre. Con lo spettro dell’esercizio provvisorio, dell’aumento dell’Iva e della speculazione dei mercati. La tempesta perfetta, insomma.

Viceversa, l’esecutivo di tregua potrebbe finire per trovare una maggioranza, benché occasionale e posticcia; incentrata più su astensioni e fughe dall’aula piuttosto che su voti favorevoli. Scenario senza dubbio meno fosco del precedente, ma che tuttavia lascerebbe al governo pochissimi margini di manovra, sia in campo economico che sociale. Mentre quella politica risulterebbe azzerata. Di fatto più che di tregua diventerebbe il governo di nessuno, costretto su ogni provvedimento a infinite e spossanti mediazioni con sostenitori riluttanti e pronti a farsi lo sgambetto l’un l’altro. Anche se durasse fino a dicembre, aprirebbe le porte ad una campagna elettorale ancor più velenosa e piena di colpi bassi delle precedenti: per quanto sembri, il fondo non è mai toccato.

Perciò delle due l’una: o partiti e forze politiche recuperano almeno un briciolo di ragionevolezza e un minimo di linee d’azione comuni (una chimera); oppure ci aspettano settimane e mesi di passione in un contesto sempre più sfilacciato. Prima o poi i cittadini chiederanno conto di come sia stato possibile infilarsi in un simile vicolo cieco. Il paradosso è che potrebbero doverlo fare guardando soprattutto a sé stessi.