L’Importanza, per molti versi sproporzionata, che hanno assunto le elezioni in Abruzzo è risaputa e certificata, oltre che dall'attenzione dei media, dall'affluenza di massa dei leader nella regione, spesso con largo anticipo sull'apertura reale delle urne. Cosa nello specifico il voto di una singola regione possa dire, al di là dei termini vaghi come “la tendenza”, “il vento cambiato”, “il segnale” ecc. non è però chiaro. E non lo è nemmeno quali siano gli elementi locali specifici destinati a pesare e quali invece possano a buon diritto essere considerati spie a livello più generale.

Il “campo”, insomma l'Abruzzo, presenta alcuni elementi peculiari che giocano a favore del centrosinistra e altri che avvantaggiano invece la maggioranza e il governatore uscenti. In Abruzzo, come del resto in Sardegna, non è mai capitato che un governatore uscente fosse riconfermato per un secondo mandato e ciò è un elemento “a priori” che rafforza le speranze di Elly e Giuseppi. Il governatore Marsilio inoltre occupa nella classifica della popolarità dei presidenti di Regione la stessa postazione, non proprio brillante, di Truzzu, lo sconfitto in Sardegna, in quella dei sindaci: è terzultimo. Sommando questo dato alla tradizionale tendenza degli abruzzesi a punire chi ha governato negli ultimi cinque anni se ne ricava un presagio tanto roseo per gli sfidanti quanto preoccupante per gli sfidati.

L'elemento che invece aiuta la destra, e che costituisce anzi il principale motivo di ottimismo, è che in Abruzzo, a differenza che in Sardegna, non è consentito il voto disgiunto. Qui gli elettori di destra, a differenza dei sardi, non possono penalizzare il governatore continuando tuttavia a votare per i partiti della maggioranza. Senza questa possibilità, come è universalmente noto e come non si dimenticano di segnalare quotidianamente i leader del centrodestra, non ci sarebbe stata partita e il “campo largo” sarebbe stato sconfitto facilmente. I sondaggi registrano una partita molto aperta sul governatore mentre confermano la prevalenza del centrodestra nel voto di lista. Uno dei principali elementi sensibili a livello generale deriva proprio da questo quadro, significativo non solo guardando al risultato secco ma anche alle dimensioni dei risultati della destra: si tratta cioè di vedere se anche in una situazione oggettivamente difficile, per la scarsa popolarità del governatore e per la regola dell'alternanza sin qui rigidamente applicata dagli elettori, il richiamo della destra e dei suoi leader a livello nazionale

riesce a far premio ugualmente sugli ostacoli. Il dato è particolarmente importante per quanto riguarda la premier, che fra i leader della destra è quella in grado di calamitare più voti. Non a caso, proprio a fronte delle difficoltà registrate in Sardegna e della sfida molto più aperta del previsto in Abruzzo, Meloni avrebbe preso la decisione, sin qui in forse, di candidarsi come capolista in tutte le circoscrizioni per le Europee. Naturalmente il discorso è reversibile: un insuccesso direbbe che quel richiamo si è affievolito, nonostante la popolarità nei sondaggi.

Il centrosinistra ha due carte forti da giocare: si presenta unito, addirittura in formazione da campo larghissimo anche con Calenda e Renzi, e ha nelle vele il vento della vittoria in Sardegna, con previsto ( e prevedibile) effetto galvanizzante. In Abruzzo, persino più che altrove, l'esito delle elezioni è deciso dal successo nel recuperare le fasce astensioniste dell'elettorato potenziale e non sulla capacità di rubare voti alla controparte. Statisticamente a un calo dell'astensionismo corrisponde la vittoria del centrosinistra, al suo aumento quello della destra. In discussione è dunque la conferma o la smentita della strategia impostata soprattutto dalla leader del Pd per riportare alle urne il proprio elettorato disaffezionato: una propaganda centrata sulla denuncia del pericolo autoritario se non apertamente neofascista e il richiamo unitario, a cui l'elettorato di sinistra è di solito molto sensibile.

Trattandosi di una partita che la destra sino a poco tempo fa dava per vinta facile è naturale che il centrosinistra abbia molto meno da perdere e anzi già il testa a testa è un successo. Ma qualcosa in ballo c'è anche lì: perché se la spinta unitaria si dimostrasse fiacca riprenderebbero fiato quanti nel Pd la contestano, su entrambi i fronti ma molto più su quello anti 5S, e perché se il vento della Sardegna fosse già caduto qualche conto sulle fortune della “linea antifascista” andrebbe fatto.