Le conferenze stampa della presidente del Consiglio, si sa, sono una cosa rara: converrebbe sfruttarle al meglio. Nella conferenza stampa fiume di giovedì sera sono sfuggite alla raffica di domande alcune questioni dirimenti. Una riguarda le coperture necessarie per gli interventi, pur modesti, che la premier vuole comunque attuare. «Dobbiamo concentrare le risorse su pochi grandi obiettivi invece che distribuirle a pioggia», ha detto in conferenza stampa. E sulle priorità come redditi, sanità, pensioni e famiglie, ha proseguito, «un singolo provvedimento di grande impatto è più utile che non una serie di piccoli provvedimenti». Ma anche i «pochi grandi obiettivi» richiedono coperture che al momento non ci sono e a venti giorni dalla Nadef sarebbe opportuno capire dove il governo intenda cercarle.

Più rilevante il passaggio sulla riforma del Patto di Stabilità, certo più significativo del parere della presidente sulle opinioni del compagno di vita Giambruno. Meloni ha detto senza mezzi termini che, se non si troverà l'accordo sul nuovo Patto di Stabilità, l'Italia chiederà di prorogare la sospensione in vigore dal 2020 causa Covid. Ha insistito perché, nelle nuove regole, vengano scorporati dal deficit gli investimenti per la transizione verde, quella digitale e per le spese militari. Non è una richiesta nuova e non è mai stata accolta positivamente a Bruxelles, ma è anche vero che per l'Italia, poco importa se col vecchio o col nuovo Patto di Stabilità, quello scorporo è questione di sopravvivenza. Va da sé che le già scarse possibilità di farcela scomparirebbero del tutto senza la ratifica italiana della riforma del Mes. Dato che il tempo stringe, dovendo la firma arrivare entro la fine dell'anno, è quella la principale questione sulla quale la premier ha taciuto. Anche perché, va detto, nessuno le ha chiesto di parlarne.

Si tratta in realtà di un passaggio delicatissimo, forse il più rischioso che aspetta al varco il governo. Negare la firma significherebbe precludersi ogni possibilità di trattare sullo scorporo degli investimenti ma anche su una qualche forma di proroga della sospensione del Patto se non si troverà un'intesa sulla riforma. Una Lega impegnata nello sfidare la premier in vista delle elezioni Europee, però, molto difficilmente accetterà di sottoscrivere una riforma del Mes il cui passaggio, grazie ai voti certi del Pd, sarebbe comunque garantito.

Ma se la Lega voterà contro il Mes o sceglierà di astenersi dal voto, la presidente e leader di FdI si troverà nella scomodissima situazione di dover votare con il Pd e senza il secondo partito della destra, a favore di una riforma contro la quale si è sempre espressa se non all'interno di una modifica complessiva delle regole bocciata però dalla Germania e che quindi non ci sarà. Con elezioni proporzionali all'orizzonte sarebbe un regalo grosso, forse troppo grosso, per Salvini.

È significativo che, contro ogni previsione, la premier in conferenza stampa abbia espresso sulle critiche rivolte a Gentiloni un pensiero molto più vicino all'attacco del leghista che non alla difesa del leader azzurro Tajani. «Accade spesso che i commissari abbiano un occhio di riguardo per il Paese da cui provengono e sarei contenta se accadesse di più anche per quanto riguarda l'Italia». La formula è meno acuminata di quella adoperata da Salvini ma il concetto è lo stesso. In parte dipende dalla reale irritazione di entrambi i leader nei confronti di un commissario europeo che, secondo loro, non si sta affatto spendendo per rendere le cose più facili proprio sul tavolo della riforma del Patto di Stabilità. Ma in parte le parole di Meloni rivelano anche l'intenzione di non lasciare troppo spazio a Salvini sul fronte delle critiche a Bruxelles. Con una simile competizione in corso è davvero difficile immaginare che FdI accetti di votare la ratifica della riforma del Mes senza il coinvolgimento diretto anche della Lega.

C'è un ultimo capitoletto sul quale Meloni, nonostante la domanda sia stata qui puntuale, ha glissato: le scelte del governo sui crediti deteriorati. Si è trincerata dietro un «Ne stiamo ancora parlando». Ma dalle parole dovrà presto passare, o forse non passare ai fatti. Senza l'intervento dello Stato quei 30 mld di crediti deteriorati non verranno portati a compensazione e per molte aziende sarà un disastro. Ma se invece verranno portate a compensazione a registrare il disastro saranno i conti dello Stato. Quando si dice “un bel dilemma”...