Tracce persino prevalenti di campagna elettorale per il pur lontano rinnovo del Parlamento europeo, in programma a giugno dell’anno prossimo, si trovano indubbiamente sia nell’invito di Giorgia Meloni alla presidente della Commissione dell’Unione Ursula von der Leyen, accorsa a Lampedusa con un piano di dieci punti per non fare apparire la premier italiana isolata e abbandonata nell’emergenza immigratoria, sia nell’invito del vice presidente del Consiglio e ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini all’amica, ed alleata in Europa, Marine Le Pen. Che, avvolta in un abito nero corto abbastanza per lasciarle scoperte le gambe sopra il ginocchio, è arrivata al raduno di Pontida per accreditare la Lega nell’inseguimento dell’elettorato corso a destra dopo l’exploit delle europee del 2019, quando l’allora vice premier ma anche ministro dell’Interno portò il Carroccio al 34 per cento: ben sopra, quindi, il 30 attribuito ora dai sondaggi al partito della Meloni e quel modesto 8 per cento attorno a cui risulta navigare la Lega.

Con l’aria di volere rispondere solo ad un lettore nell’apposito spazio epistolare, ma con l’accortezza di aprire sulla risposta una vistosa finestra in prima pagina, il direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana ha trovato “incredibile” che la campagna elettorale per le europee sia cominciata con nove mesi di anticipo, come se non le appartenessero anche o almeno i due precedenti, da quando - per esempio- Antonio Tajani e Salvini, sempre lui, hanno cominciato a prendersi per i capelli e le parole sui confini della destra nella maggioranza da costruire nella prossima edizione del Parlamento di Strasburgo. E ciò magari per confermare alla presidenza della Commissione l’uscente Ursula - chiamiamola pure confidenzialmente per nome- o addirittura per sostituirla.

Non è il caso di “fermare la giostra” e di pensare più ai problemi “veri” del paese e dell’Unione che a quelli dei partiti?, ha chiesto Fontana rivolgendosi anche alla varie parti dell’opposizione in Italia, prese pure loro dalla gara a chi prenderà più voti per conquistare la “supremazia” nello schieramento antigovernativo: la Schlein, per esempio, piuttosto che l’ex presidente grillino del Consiglio Giuseppe Conte, sempre che la prima riesca a far valere il suo mandato quadriennale, da poco ricordato ai critici o avversari interni, in caso di altre sconfitte locali prima delle europee.

Meno o per niente preoccupato rispetto al direttore del Corriere della Sera, almeno ai fini della stabilità e della tenuta della maggioranza di centrodestra, di fronte alla troppo lunga campagna elettorale per le europee si è mostrato su Libero il direttore editoriale Daniele Capezzone. Che ha ridotto la conflittualità all’interno della coalizione di governo alla Meloni e a Salvini apprezzando di entrambi un “intelligente autocontrollo” mostrato l’una a Lampedusa e l’altro a Pontida: la prima recuperando per tutto il Paese lo spazio che sembrava essersi improvvisamente ridotto nella gestione esterna e comunitaria dell’immigrazione e il secondo apprezzando, o tornando ad apprezzare la premier dopo essersi lasciato andare a considerazioni liquidatorie sulla solidarietà nell’Unione, e persino sulle iniziative assunte con la Tunisia.

Anche se non è arrivato a scriverlo esplicitamente, limitandosi a sottolineare “il successo chiarissimo” della Meloni nel rapporto sia con Ursula von der Leyen sia con l’assente, a Lampedusa, Emmanuel Macron per la disponibilità strappata alla Francia a collaborare fattivamente al controllo delle acque sinora sorvegliate meglio dagli scafisti che dalle marine europee, Capezzone ha dato l’impressione di scommettere, o quanto meno sperare, su nuovi equilibri nell’Unione dopo le elezioni dell’anno prossimo.

Eppure nel prossimo Parlamento europeo non basterà alla destra, comunque configurata o configurabile, compresa quella francese, come vorrebbe Salvini, o senza di essa, come vorrebbe il successore di Berlusconi al vertice di Forza Italia, portare a casa più voti e seggi. Sullo stesso Libero il nuovo direttore responsabile Mario Sechi, peraltro reduce dall’esperienza di capo ufficio stampa di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, ha evocato nel suo editoriale “le parole di un uomo che passeggiava nel centro di Milano e incarnava il potere nel silenzio, Enrico Cuccia”. Che diceva, a proposito delle azioni nelle società industriali e finanziarie: “Si pesano, non si contano”. “Anche i voti”, ha chiuso e ammonito Sechi pensando non a torto, o per niente ereticamente, alla politica. L’Unione Europea è un po’ più complessa di un singolo Stato, non è ancora una federazione, e chissà se mai lo diventerà. E comunque non è una bocciofila.