SBAGLIANO SALVINI E BERLUSCONI A PUNTARE IL DITO

«A uguroni a Moratti dopo aver fatto per il centrodestra il ministro, il sindaco e l’assessore» regionale, ha detto - commentandone l’annunciata candidatura alla presidenza della Lombardia col terzo polo di Carlo Calenda e Matteo Renziil vice presidente del Consiglio, ministro delle Infrastrutture e leader della Lega Matteo Salvini. Che peraltro si era molto speso direttamente non più tardi della settimana scorsa per allungare l’incompleta lista delle cariche della signora prospettandole incarichi di cosiddetto sottogoverno per distrarla, diciamo così, dall’aspirazione al Pirellone. Dove la Moratti vorrebbe sostituire a marzo il presidente uscente della Lombardia Attilio Fontana: da non confondere con l’altro Fontana, Lorenzo, sempre leghista, salito in questa nuova legislatura al vertice della Camera.

Evidentemente, se le cariche sono una tentazione forse poco commendevole per una signora già da tempo in carriera politica, vicinissima - in questo mese - al compimento dei 73 anni, Salvini non ha avuto problemi a fare opera di tentazione sfidando anche il pater noster nella nuova formulazione, che ci fa pregare il Signore di non lasciarcene indurre. E il tentatore di ogni credente, si sa, è il diavolo. Della cui figura rimane politicamente celebre la descrizione che fece nel 1973, in un congresso democristiano, il già allora segretario Arnaldo Forlani sotto sfratto ad opera del suo capocorrente Amintore Fanfani. Il quale aveva deciso di sostituirlo per replicare al vertice dello scudocrociato l’avventura di vertice interrottasi bruscamente nel 1959, avendo lui imprudentemente cumulato troppo potere, insieme, di partito e di governo.

Forlani identificò nel diavolo il promotore del trasformismo finalizzato a trattenere o conquistare o riconquistare il potere, appunto. E lui coerentemente non tentò neppure di resistere all’assalto di Fanfani, magari sposandone la linea della ripresa del centrosinistra interrottosi alla fine del 1971 per la protesta dei socialisti contro l’elezione di Giovanni Leone al Quirinale senza il loro consenso.

Ma lasciamo da parte il passato e torniamo ai giorni nostri. I giorni di Matteo Salvini, alleati e avversari vecchi e nuovi. Dicevo della sua “lista incompleta” delle cariche ricoperte da Letizia Moratti in una quasi trentennale carriera politica. Salvini si è infatti dimenticato della non irrilevante presidenza della Rai assegnatale nel 1994 sotto le insegne del centrodestra, già prima di diventare nel 2001 ministro della Pubblica Istruzione rimanendovi sino al 2006 nei due governi Berlusconi - il secondo e il terzo - che contrassegnarono l’intera quattordicesima legislatura repubblicana.

Mi chiedo se è non dico galante, trattandosi di un uomo alle prese con una signora, ma politicamente corretto liquidare la Moratti - come ha praticamente cercato di fare Salvini in nome e per conto del centrodestra - come una poltronista o poltronara qualunque sostituendosi a quei sanfedisti di Forza Italia, da cui appunto proviene l’ex sindaca di Milano, che liquidarono così nei mesi scorsi l’uscita dal partito, per dissenso politico, di Renato Brunetta, Mariastella Gelmini e Mara Carfagna. Che furono sorpresi - a dir poco - dal ritiro della fiducia di Forza Italia al governo di Mario Draghi, dove loro la rappresentavano.

Eppure, essendo scontata la vittoria del centrodestra nelle elezioni, a quel punto anticipate di qualche mese rispetto alla scadenza ordinaria, i tre ministri dimissionari lasciarono il certo per l’incerto: l’opposto quindi del poltronismo. Dei tre, Brunetta rinunciò pure a tentare la rielezione alle Camere in altre liste, come fecero invece le più giovani Gelmini e Carfagna tornate in Parlamento col terzo polo.

Ora la Moratti legittimamente aspirante alla presidenza della Lombardia, peraltro promessale, offertale e quant’altro al momento del soccorso ad Attilio Fontana prestato in piena pandemia Covid, decidendo di candidarsi proprio col terzo polo, con un Pd che solo per questo ne ha già contestato la corsa, è andata anch’essa più verso l’incerto che il certo, verso più una sconfitta, per quanto dignitosa e foriera di sommovimenti altrui, che verso una vittoria. Pure qui, come nel caso di Brunetta, Gelmini e Carfagna, l’opposto del trasformismo poltronistico. Mi chiedo perché nel centrodestra, o destra- centro che gli è subentrato, e più in particolare in Forza Italia, si ceda così spesso e così rovinosamente alla tentazione un pò beduina - lasciatemi dire - di liquidare il dissenso politico per tradimento, ingratitudine, poltronismo appunto e via scendendo di livello. È una pratica peraltro penalizzante sul piano del consenso, visto che l’ultimo sondaggio effettuato dalla insospettabile Alessandra Ghisleri, a lungo considerata “di fiducia” di Berlusconi, attribuisce a Forza Italia il 6,5 per cento dei voti, l’ 1,6 in meno delle elezioni politiche del 25 settembre, sorpassata dal terzo polo. Che pure col suo 8,2 ha guadagnato solo lo 0,4 per cento rispetto a circa un mese e mezzo fa.