Festa grama quella di domenica prossima a Firenze, per Matteo Salvini: Marine Le Pen sarà presente solo con un video, e così anche anche l'olandese ospite d'onore Geert Wilders, che ha declinato all'ultimo momento. Tra i rappresentanti dei grandi Paesi spiccherà quindi Tino Chrupalla copresidente e numero 2 della AfD tedesca. Tra tutte le formazioni in campo quella più imbarazzante di tutte, un po' persino per il leader della Lega. Insomma, un pessimo viatico per la campagna del capo leghista.

Non è un caso se Salvini ha invitato i suoi ospiti, per la festa sovranista di domenica prossima, proprio a Firenze. La sfida delle regionali 2025, molto più cruciale di quella pur importante delle europee del 2024, si combatterà nelle regioni rosse in bilico e il leghista mira al colpo più grosso di tutti, la roccaforte Toscana. Ma naturalmente il vero bersaglio, domenica, non sarà la nemica Elly ma l'amica Giorgia.

Tra i leader che saranno sul palco domenica, attorniati da tutti i pezzi da 90 del Carroccio, l'ospite italiano si trova infatti in postazione tanto unica quanto scomoda. È il solo a non poter vantare il controllo, né totale e neppure solo maggioritario, sull'area sovranista di casa propria. Nessuno degli altri leader europei dell'eurogruppo identità e Democrazia deve fare i conti in patria con altre forze sovraniste rilevanti. Salvini sì e il suo problema, la gabbia dalla quale cerca di tirarsi fuori da un anno ma sinora inutilmente è proprio questa.

Il sindaco di Firenze Nardella ha chiesto ai fiorentini di esporre ovunque la bandiera europea, per dimostrare ai sovranisti che Firenze non sta dalla loro parte. Se anche i cittadini di Firenze aderissero all'invito, oggi come oggi quel tripudio di bandiere non turberebbe neanche un po' Giorgia Meloni. La sua strategia mediatica, la sua versione di un sovranismo tutto interno alle regole dell'Unione e a tratti declinato anzi in una sorta di bizzarro “sovranismo europeo”, sinora si è dimostrata vincente. Le ha garantito accoglienza, fiducia e anche sostanziosa benevolenza a Bruxelles e nelle capitali europee senza sottrarle in consenso di chi la aveva votata perché puntasse i piedi nei rapporti con Bruxelles e oggi la voterebbe ancora perché convinto che sia proprio quel che sta facendo, senza sbraitare, per vie diplomatiche, puntando non sulla contrapposizione ma, al contrario, sull'affidabilità nonostante il passato sovranista e le sparate, sempre più rare, in quella stessa antica direzione.

Nessuno degli altri leader del sovranismo in Europa ha problemi di questo tipo e del resto non essendo al governo non devono neppure vedersela, come capita invece al leghista, con la spiacevole necessità di coniugare le sparate da campagna elettorale permanente con i vincoli plumbei della realtà. Nel tentativo di conquistare spazio ai danni dell'alleata/competitor il vicepremier incontra poi un ostacolo quasi insormontabile. Solo fallimenti conclamati del governo ridarebbero fiato alla sua propaganda, ma essendo il vicepremier di quello stesso governo la ricaduta del fallimento travolgerebbe anche lui.

È dunque a partire da questa situazione difficile, forse difficilissima, che Salvini sfrutterà la parata di domenica per aprire la lunghissima campagna elettorale per le europee, ponendosi come l'ala della maggioranza più grintosa nei rapporti con la Ue, di fatto antieuropea anche se la formula ufficiale recita che Identità e Democrazia vuole “un Europa diversa”. Di certo il leader della Lega batterà moltissimo sulla necessità che il centrodestra non si divida nelle europee. In sé è una richiesta priva di senso. Il sistema elettorale è proporzionale, dunque da un lato la competizione tra forza alleate è fisiologica e dall'altro non si potrebbe in nessun caso parlare di divisione. Inoltre l'ipotesi di una convergenza con un partito come Forza Italia, che di Marine LePen e soprattutto dell'AfD tedesca non vuole neppure sentir parlare e che ha accolto con gelo e fastidio la notizia del raduno di Firenze, è del tutto irrealistica.

In realtà, però, il leghista guarda soprattutto al dopo-elezioni, quando il quadro di Strasburgo potrebbe offrirgli l'occasione che aspetta da un anno. Le pressioni sui Conservatori, l'eurogruppo di cui proprio Meloni è presidente, perché entri in una maggioranza simile a quella Ursula diventeranno pesantissime e la premier italiana potrebbe trovarsi nella condizione di non poter dire di no. A quel punto Salvini qualche margine d'azione lo potrebbe trovare: a patto che la sua Lega esca comunque bene, senza perdere voti e anzi aumentandoli, dalle elezioni del 9 giugno. Dunque la campagna elettorale che inizierà con gran sventolio delle diverse bandiere nazionali domenica, sorvolando sugli interessi opposti e a volte inconciliabili di chi le sventola, per Salvini.