La strada, ora, è una e l’ha tracciata il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: fallita ogni possibile intesa tra le tre parti in campo e scartata l’ipotesi di un governo di minoranza, alle Camere si presenterà un «governo neutrale», perchè «ritengo sia più rispettoso che a portare alle elezioni sia un governo non di parte, ai cui membri chiederò di non candidarsi alle prossime elezioni». Il ragionamento del Quirinale è chiaro: i partiti hanno bisogno di altro tempo per individuare una maggioranza? Benissimo, intanto però un governo nella pienezza delle proprie funzioni ( «il governo Gentiloni ha esaurito la sua funzione e non può essere prorogato» ) traghetterà il paese in tre possibili direzioni: una, verso la nascita di un governo politico che potrebbe scaturire da un accordo in Parlamento nei prossimi mesi ( e in questo caso in governo neutrale si dimetterebbe immediatamente); la seconda, una reggenza fino a dicembre, data dell’approvazione della legge di Bilancio e della manovra Finanziaria e - auspicabilmente - di una nuova legge elettorale, per poi indire nuove elezioni; la terza, il governo neutrale che probabilmente nascerà “sfiduciato” e durerà il tempo di un soffio, giusto il tempo di gestire gli affari correnti per far tornare alle urne i cittadini entro la prima data utile di luglio oppure in autunno. E’ chiaro quale soluzione Mattarella predilige nel chiedere «responsabilità» ai partiti, mettendo in guardia dal rischio di andare a elezioni subito «con la preoccupazione di non riuscire ad approvare Bilancio e Finanziaria con il conseguente aumento dell’iva e i suoi effetti recessivi».

Di parere opposto, invece, Lega e 5 Stelle. Nell’ennesimo summit fallito dopo questo terzo giro di consultazioni, Di Maio e Salvini hanno però fissato almeno un punto d’accordo: «Alle urne l’ 8 luglio». I due fronti, che corrono ormai paralleli senza possibilità di incontrarsi a causa dei veti incrociati, hanno chiuso il sipario a qualsiasi ipotesi alternativa. Il leader 5 Stelle ha ormai mollato gli ormeggi: «Dopo oggi, siamo in campagna elettorale» e ha detto no all’esecutivo neustrale proposto da Mattarella. Del resto, come ha ribadito al capo dello Stato alle ultime consultazioni, «Mi sono detto disponibile a scegliere con Salvini - ha ribadito Di Maio - un presidente del Consiglio terzo, con condizioni non trattabili nel contratto». Insomma, «noi ce l’abbiamo messa tutta e se siamo arrivati qui è perchè c’è stato molto cinismo e non valutazioni legate al bene del Paese».

Il leader leghista, che ha tenuto a bada per due mesi il carattere fumantino, ieri non ce l’ha più fatta e, dismessi i panni del mediatore, ha risposto con nettezza: «Le uniche possibilità sono un esecutivo di centrodestra o il voto in estate» e ha sapientemente chiamato in causa l’alleato Silvio Berlusconi per incassarne la fedeltà: «Contiamo che il Cav mantenga la parola data e abbia la nostra stessa coerenza, poi gli italiani ci daranno la maggioranza assoluta e cambieremo l’Italia da soli».

Alle consultazioni di ieri - alle quali il centrodestra si è presentato unito dopo un vertice di passione nella notte - Salvini aveva ufficialmente chiesto l’incarico di governo: «Siamo disponibili a dar vita a un governo e confidiamo che il Presidente dia alla nostra coalizione la possibilità di trovare la maggioranza». Parole che, però, non sono bastate a Mattarella. «Noi ci siamo e fino all’ultima ora mi spendo perché ci sia incarico e io possa passare dalle parole ai fatti. Ma se tutti gli altri rimarranno fermi sui loro no, sulle loro posizioni, l’unica via è tornare dagli italiani» è stato il ragionamento di Salvini, che ha consegnato la sua frustrazione per il mancato affidamento di un uncarico a un video sulla sua pagina Facebook, in cui dismette il doppiopetto istituzionale da consultazioni e torna a parlare al “popolo della Lega”. Alla Lega si affianca anche Giorgia Meloni, che ha dichiarato lapidaria che «non ci saranno i voti di Fratelli d’Italia per un altro governo nato nei laboratori del Quirinale e incapace di dare risposte ai cittadini» e attacca il Colle definendo «incomprensibile e non condivisibile» il tabù posto da Mattarella di dare il via libera a un esecutivo di minoranza targato centrodestra.

Mano tesa al Quirinale, invece, da parte del Partito Democratico: «Condividiamo il richiamo alla responsabilità del presidente Mattarella e ci auguriamo che venga ascoltato da tutte le forze politiche in queste ore. Il PD non farà mancare il suo sostegno all’iniziava preannunciata ora dal Presidente», ha commentato il segretario reggente Maurizio Martina.

Dalle reazioni a caldo, dunque, è quasi certo che l’esecutivo neutrale, che Mattarella dovrebbe svelare oggi, si presenti già senza la fiducia. L’appello del Colle ai partiti è incappato nella stessa risposta che ha piagato gli ultimi due mesi di confronto: no.