PHOTO
GIULIA PALMIGIANI
Il capo di gabinetto del ministero della Cultura, Francesco Spano, si è dimesso. A spiegarne le ragioni, lo stesso Spano in una lettera indirizzata al ministro Alessandro Giuli. «Con sofferta riflessione mi sono determinato a rassegnarLe le mie dimissioni dal ruolo di Capo di Gabinetto della Cultura con cui ha voluto onorarmi - scrive Spano - il contesto venutosi a creare, non privo di sgradevoli attacchi personali, non mi consente più di mantenere quella serenità di pensiero che è necessaria per svolgere questo ruolo così importante. Nell’esclusivo interesse dell’Amministrazione, pertanto, ritengo doveroso da parte mia fare un passo indietro. Ciò non mi impedisce, evidentemente, di esprimerLe la mia profonda gratitudine per la stima ed il sostegno che mi ha mostrato senza esitazione».
Da parte sua Giuli accoglie le dimissioni «con grande rammarico, dopo averle più volte respinte. A lui va la mia convinta solidarietà per il barbarico clima di mostrificazione cui è sottoposto in queste ore. Non da ultimo, ribadisco a Francesco Spano la mia completa stima e la mia gratitudine per la specchiata professionalità tecnica e per la qualità umana dimostrate in diversi contesti, ivi compreso il Ministero della Cultura».
Con l’ufficializzazione della nomina di Francesco Spano a nuovo capo di gabinetto del ministro della Cultura Alessandro Giuli, cresce il malumore all’interno di Fratelli d’Italia. Nel mirino di una frangia del partito il passato di Spano, che nel 2017 sotto il governo Gentiloni lasciò la guida dell’Unar (l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) dopo un servizio de ’Le Ienè che dava conto di un finanziamento di oltre 50mila euro a un’associazione Lgbtq – di cui lo stesso Spano sarebbe stato socio - accusata di organizzare serate a sfondo sessuale nei propri circoli. Nessuno, all’interno di Fdi, si espone in chiaro per esternare la propria sorpresa e il proprio malcontento verso il profilo designato da Giuli in sostituzione del capo di gabinetto silurato, Francesco Gilioli. Ma a taccuini chiusi c’è chi non si tira indietro.
«Quella del ministro è una scelta fiduciaria», si limita a osservare con l’Adnkronos un parlamentare di Fratelli d’Italia di lungo corso, ricordando la lunga collaborazione di Spano con Giuli alla Fondazione Maxxi in qualità di segretario generale. I malumori nell’ambiente, fuori e dentro al partito, spiega la fonte, «sono legati al fatto che lo stesso Spano è stato oggetto di un’interrogazione presentata dalla presidente Meloni» nella quale veniva chiesta a gran voce la chiusura dell’Unar. Ma Meloni non è stata l’unica in Fdi a occuparsi della questione Unar tramite atti di sindacato ispettivo. Risale al 20 febbraio 2017 il post con cui la premier invocava «oggi stesso» la chiusura dell’Ufficio antidiscriminazioni. «L’Italia - scriveva l’allora esponente dell’opposizione - non ha alcun bisogno di un ufficio che con una mano finanzia un’associazione gay nei cui circoli si consumerebbero rapporti sessuali a pagamento e con l’altra scrive lettere ai parlamentari per censurare il loro pensiero. Non un euro in più delle tasse degli italiani deve essere buttato per pagare lo stipendio a dei signori, come il direttore dell’Unar Spano, che in evidente conflitto d’interessi assegnano decine di migliaia di euro di soldi pubblici ad associazioni di cui sono soci».
Il 20 luglio dello stesso anno l’attuale capogruppo di Fdi al Senato Lucio Malan tornava sul caso Unar sempre con un’interrogazione, chiedendo «quali iniziative il governo intenda adottare affinché l’Unar si occupi di quanto previsto dalla legge e non di altro; se in particolare risulti se l’Unar cesserà di orientare in prevalenza il proprio operato a sostegno degli interessi delle associazioni Lgbt a discapito delle svariate e reali forme di discriminazione che affliggono la società italiana».