Il tiro a bersaglio sulle Ong passa anche per le fake news. Così, mentre il capomissione di Mediterranea, Luca Casarini, aspetta di sapere se verrà rinviato a giudizio a Ragusa per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e violazione del codice della navigazione, alcuni giornali hanno dato il via al cannoneggiamento.

Ad aprire per primi il fuoco sono stati Panorama e la Verità, con la pubblicazione di alcuni atti dell'inchiesta giudiziaria, ma è stato il Giornale a ritirare fuori alcune “prove” che dimostrerebbero il vecchio vizio di Casarini di salvare in mare migranti pienamente capaci di raggiungere qualche costa in maniera autonoma.

I finti "salvataggi" di Casarini nelle foto della Guardia libica è il titolo del pezzo pubblicato dal quotidiano di casa Berlusconi. Prova dello “scandalo” sarebbero sei fotografie scattate il 18 marzo 2019 dalla guardia costiera libica. Le immagini - tratte dal blog Migrant rescue watch (gestito dal canadese Rob Gowans) - ritraggono 49 persone stipate un gommone, e già questo basterebbe a chiudere la faccenda, ma visto che il natante non sembra in imminente pericolo di affondamento per il Giornale non ci sono dubbi: la Mare Jonio, la nave umanitaria che all'epoca dei fatti trasse in salvo quei profughi, andava a cercarsi i migranti. Non solo, quelle fotografie rafforzerebbero «gli interrogativi sul ruolo realmente svolto nel Mediterraneo meridionale dalla Ong guidata dall'ex leader dei centri sociali veneti».

Peccato che proprio per quella vicenda, quel salvataggio del 2019, anno di “porti chiusi” e prove muscolari al Viminale, Casarini sia già stato indagato e archiviato dal tribunale di Agrigento proprio per il salvataggio finito sotto la lente del quotidiano. Tutte le risposte ai sospetti del Giornale sono contenute nel decreto del Gip, che sposa integralmente la richiesta di archiviazione presentata dai pm Salvatore Vella e Cecilia Baravelli, sarebbe bastato leggerlo.

È in quel documento, infatti, che vengono ricostruiti minuziosamente i fatti attraverso i documenti del Mrcc (Maritme rescue coordination Centre) di Roma, della Marina militare, della Guardia di finanza e della Guardia costiera. Ogni passaggio è descritto minuto per minuto dalle autorità. Ed è proprio in base a questa ricostruzione che il Gip di Agrigento può stabilire che il gommone con i 49 migranti bordo al momento dell'avvistamento «non aveva danni evidenti allo scafo, pur avendo la “prua rialzata”; quindi il gommone blu non era alla deriva, ma aveva il motore acceso e funzionante, ed era con i tubolari leggermente sgonfi, come comprovato dalla prua rialzata, quindi non in asse con il resto dello scafo».

Ma nonostante l'assenza di un rischio di imminente affondamento, «è convinzione di quest’Ufficio che si trattasse comunque di un'imbarcazione che si trovava in una evidente situazione di pericolo, per cui si doveva temere per la salvaguardia della vita umana in mare». I motivi? Così evidenti, che a tratti sembrerebbe superfluo indicare. Ma, a quanto pare, è necessario: «È notorio», ad esempio, scrivono i pm sulla richiesta d'archiviazione totalmente sottoscritta dal Gip, «che i gommoni utilizzati dai trafficanti libici per il trasporto dei migranti sono di pessima fattura, costantemente a rischio di lacerazione delle camere d’aria e del conseguente improvviso affondamento». O ancora: «Il gommone blu (quello raggiunto dalla Mare Jonio, ndr) era certamente sovraccarico, in quanto trasportava molte più persone di quanto ne consentisse una navigazione in sicurezza, in modo da comprometterne la stabilità e la galleggiabilità». Senza contare che nessuna «delle persone a bordo aveva salvagenti o altri dispositivi personali o collettivi di sicurezza, che ne avrebbero consentito il salvataggio in caso d'improvviso affondamento del mezzo».

È alla luce di questi “dettagli” che il comandante della Mare Jonio aveva «l'obbligo di prestare soccorso e assistenza alle persone presenti a bordo del gommone blu e di provvedere al successivo trasporto in un luogo sicuro di sbarco (Pos), alla luce di quanto sancito dalle disposizioni normative internazionali e nazionali». Più chiaro di così sembra complicato dirlo. Anche i magistrati lo fanno, citando una mole impressionante di norme e sentenze nazionali e internazionali in materia. «Se non avessimo salvato quelle vite avremmo commesso un reato», dice al Dubbio Casarini.

Non solo. Anche rispetto all'altro capo d'imputazione indagato nel 2019, il “rifiuto di obbedienza a una nave da guerra” previsto dal codice navale, il Tribunale è stato perentorio: Luca Casarini e Pietro Marrone (comandante della nave) non misero in pratica alcuna condotta antigiuridica nel non rispettare l'alt a procedere intimato dal Pattugliatore Paolini della Guardia di Finanza. Un ordine pronunciato in nome di una presunta «Autorità giudiziaria italiana» che avrebbe negato l'autorizzazione all'ingresso in acque nazionali. «In realtà nessuna Autorità giudiziaria italiana aveva negato l’autorizzazione all'ingresso in acque italiane della nave battente bandiera italiana Mare Jonio», si legge sul decreto. «Non è previsto da alcuna norma che una nave battente bandiera italiana debba avere una preventiva “autorizzazione” per fare ingresso nelle acque territoriali italiane, né è previsto da alcuna norma che l'Autorità Giudiziaria Italiana abbia la facoltà di “autorizzare” un natante a fare ingresso nelle acque territoriali».

Le navi da guerra che svolgono compiti di polizia, inoltre, non hanno alcun potere di bloccare l'accesso a un'imbarcazione battente bandiera italiana. Gli unici poteri previsti sono: chiedere informazioni, procedere con una visita a bordo, ispezione dei documenti di bordo e, solo nei casi più gravi, scorta fino in porto del mercantile. Nessun alt può dunque essere intimato. Disobbedire non è stata una condotta «antigiuridica». Qualcuno lo dica al Giornale.