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In occasione dell’anniversario del rapimento Moro, il 16 marzo 1978, ripubblichiamo la lettera dalla prigionia inviata alla moglie il 9 aprile, con la ricostruzione di Lanfranco Caminiti.
«Mia carissima Noretta, anche se il contenuto della tua lettera al Giorno non recasse motivi di speranza (né io pensavo che li avrebbe recati), essa mi ha fatto un bene immenso, dandomi conferma nel mio dolore di un amore che resta fermo in tutti voi e mi accompagna e mi accompagnerà per il mio Calvario. A tutti dunque il ringraziamento più vivo, il bacio più sentito, l'amore più grande. Mi dispiace, mia carissima, di essermi trovato a darti questa aggiunta d'impegno e di sofferenza. Ma credo che anche tu, benché sfiduciata, non mi avresti perdonato di non averti chiesto una cosa che è forse un inutile atto di amore, ma è un atto di amore. Ed ora, pur in questi limiti, dovrei darti qualche indicazione per quanto riguarda il tuo tenero compito.
È bene avere l'assistenza discreta di Rana e Guerzoni. Mi pare che siano rimasti taciti i gruppi parlamentari, ed in essi i migliori amici, forse intimiditi dal timore di rompere un fronte di autorità e di rigore. Ed invece bisogna avere il coraggio di rompere questa unanimità fittizia, come tante volte è accaduto. Quello che è stupefacente è che in pochi minuti il Governo abbia creduto di valutare il significato e le implicazioni di un fatto di tanto rilievo ed abbia elaborato in gran fretta e con superficialità una linea dura che non ha più scalfito: si trattava in fondo di uno scambio di prigionieri come si pratica in tutte le guerre (e questa in fondo lo è) con la esclusione dei prigionieri liberati dal territorio nazionale.
Applicare le norme del diritto comune non ha senso. E poi questo rigore proprio in un Paese scombinato come l'Italia. La faccia è salva, ma domani gli onesti piangeranno per il crimine compiuto e soprattutto i democristiani. Ora mi pare che manchi specie la voce dei miei amici.Converrebbe chiamare Cervone, Rosati, Dell'Andro e gli altri che Rana conosce ed incitarli ad una dissociazione, ad una rottura dell'unità. È l'unica cosa che i nostri capi temono. Del resto non si curano di niente.
La dissociazione dovrebbe essere pacata e ferma insieme. Essi non si rendono conto quanti guai verranno dopo e che questo è il meglio, il minor male almeno.Tutto questo andrebbe fatto presto, perché i tempi stringono. Degli incontri che riuscirai ad avere, se riuscirai, sarà bene dare notizia con qualche dichiarazione. Occorre del pubblico oltre che del privato. Su questo fatti guidare da Guerzoni.
Nel risvolto del Giorno ho visto con dolore ripreso dal solito Zizola un riferimento dell'Osservatore Romano (Levi). In sostanza: no al ricatto. Con ciò la S. Sede, espressa da questo Sig. Levi, e modificando precedenti posizioni, smentisce tutta la sua tradizione umanitaria e condanna oggi me, domani donne e bambini a cadere vittime per non consentire il ricatto. È una cosa orribile, indegna della S. Sede.
L'espulsione dallo Stato è praticata in tanti casi, anche nell'Unione Sovietica, e non si vede perché qui dovrebbe essere sostituita dalle stragi di Stato. Non so se Poletti può rettificare questa enormità in contraddizione con altri modi di comportarsi della S. Sede. Con queste tesi si avvalla il peggior rigore comunista ed a servizio dell'unicità del comunismo. È incredibile a quale punto sia giunta la confusione delle lingue.
Naturalmente non posso non sottolineare la cattiveria di tutti i democristiani che mi hanno voluto nolente ad una carica, che, se necessaria al Partito, doveva essermi salvata accettando anche lo scambio dei prigionieri. Sono convinto che sarebbe stata la cosa più saggia. Resta, pur in questo momento supremo, la mia profonda amarezza personale. Non si è trovato nessuno che si dissociasse?
Bisognerebbe dire a Giovanni che significa attività politica. Nessuno si è pentito di avermi spinto a questo passo che io chiaramente non volevo? E Zaccagnini? Come può rimanere tranquillo al suo posto? E Cossiga che non ha saputo immaginare nessuna difesa? Il mio sangue ricadrà su di loro. Ma non è di questo che voglio parlare; ma di voi che amo e amerò sempre, della gratitudine che vi debbo, della gioia indicibile che mi avete dato nella vita, del piccolo che amavo guardare e cercherò di guardare fino all'ultimo. Avessi almeno le vostre mani, le vostre foto, i vostri baci.
I democratici cristiani (e Levi dell'Osservatore) mi tolgono anche questo. Che male può venire da tutto questo male? Ti abbraccio, ti stringo, carissima Noretta e tu fai lo stesso con tutti e con il medesimo animo. Davvero Anna si è fatta vedere? Che Iddio la benedica. Vi abbraccio».
Aldo Moro scrive il 7 aprile, dopo aver letto la lettera della moglie Eleonora, pubblicata dal "Giorno". Scriveva Nora: «Tutti i componenti della famiglia sono uniti e in salute. (...) Vorremmo sapesse che gli siamo vicini (...), che, avendo nonostante tutto fiducia negli uomini, crediamo sia ancora possibile, dopo tanto dolore, riabbracciarlo». Il giorno dopo, "Il Popolo", quotidiano democristiano, ripubblica la lettera di Eleonora Moro, con un commento in cui si dice che «a parte la rigorosa salvaguardia delle prerogative dello Stato repubblicano, nessuna possibilità di restituire l'on. Moro innanzitutto ai suoi cari può restare inesplorata».
Anche Zaccagnini in un intervento a "Tribuna Politica" di qualche giorno fa - era dal 16 marzo che non appariva in pubblico - lascia filtrare la contraddittorietà dei suoi sentimenti. Accenna al «dramma che stiamo vivendo, che sto vivendo» e allo sforzo di «restituire al partito, e soprattutto alla famiglia, il nostro carissimo amico Aldo Moro». Craxi si incontra con Cossiga e Galloni e li mette a parte dei suoi tentativi, attraverso l'avvocato Guiso, di capire quali spazi reali di intermediazione esistano. L'avvocato Guiso ha incontrato i brigatisti detenuti a Torino, per il processo ai capi storici, secondo i quali è necessaria una «risposta politica a quanto Moro sollecita».
È l'8 aprile. Nel pomeriggio, migliaia di donne partecipano alla manifestazione di Roma per l'aborto. Nelle stesse ore le Br contattano il prof. Tritto, persona vicina ad Aldo Moro, perché ritiri una busta - dentro c'è la lettera scritta da Moro alla moglie - ma la telefonata è intercettata dalla polizia, che si precipita sul posto indicato - piazza Augusto Imperatore - e sequestra tutto. Fotocopie della lettera di Moro alla moglie gireranno presto nel Palazzo. Tritto viene fermato e interrogato a lungo. Il tentativo di lasciare libere le comunicazioni tra Moro e la famiglia è quindi negato. Le Br trovano immediatamente un altro canale. È padre Antonello Mennini.
Moro ha ormai scelto il terreno del dibattito pubblico, insiste anzi per dare massima visibilità alle questioni che pone. Sollecita la moglie a contattare il senatore Vittorio Cervone, il deputato Elio Rosati, l'allora sottosegretario alla Giustizia Renato Dell'Andro, che erano tutti della corrente "Amici di Moro". Come lo è anche Guerzoni, suo portavoce e giornalista Rai.
Ma, leggendo il "Giorno", è rimasto colpito da un articolo di Giancarlo Zizola, vaticanista del quotidiano, che commentava l'opinione di don Virgilio Levi, vicedirettore de "L'Osservatore Romano", dal titolo "L'ora della verità". L'on. Taviani, a cui Moro aveva fatto riferimento nella sua lettera a Zaccagnini, smentisce di aver mai discusso con il presidente democristiano del caso Sossi e della necessità di essere flessibili di fronte a vicende del genere. L'on. Gui invece conferma le parole di Moro.