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Associated Press/LaPresse
Non le è andata bene ma poteva andarle peggio. I dieci giorni più lunghi per Giorgia Meloni non sono finiti come sperava ma neppure come aveva tutte le ragioni per temere.
A Tirana aveva toccato con mano quanto l'Italia fosse ormai isolata e circondata da sospetti e diffidenze in Europa, esperienza ben poco gradevole attraverso la quale il suo ministro degli Esteri era già passato qualche giorno prima a Londra e la brutta esperienza aveva lasciato il segno.
Lo sganassone di Monsieur Macron, in quella cornice, suonava come il colpo di grazia e avrebbe potuto esserlo. Ma Giorgia è una combattente. Ha reagito con prontezza, ha chiesto e ottenuto il soccorso dell’alleato su cui conta da sempre in Europa, il Ppe, ed è riuscita a rompere l’assedio.
Oggi mattina presto, in orario davvero inconsueto, palazzo Chigi ha comunicato che nella telefonata di gruppo con Trump nella notte Meloni c'era. Con Merz, Macron e Starmer. Senza il polacco Tusk. Quasi una telefonata riparatrice, perché proprio la presenza della Polonia ma non dell'Italia nella precedente riunione con il presidente Usa al telefono, quella di Tirana, aveva dato il segno di quanto Roma fosse ormai marginale.
Subito prima c’era stata la notizia, sino a quel momento riservata, di una precedente telefonata fra la premier e il presidente americano, subito dopo lo sgarbo di Tirana e ancora prima l’incontro orchestrato dal capo del governo italiano tra JD Vance, il numero due della Casa Bianca, e Ursula von der Leyen, la Signora di palazzo Berlaymont. Un colloquio senza esiti tangibili, significativo quasi solo sul piano simbolico ma utile alla premier salutata dall’Hillbilly di Washington come “Ponte tra Usa e Ue”.
La vera svolta però c'era già stata, nel colloquio e poi nella lunga conferenza stampa di sabato con il cancelliere tedesco. Il Popolare Merz, sul piano del ruolo internazionale, ha concesso all'italiana moltissimo: la ha confermata «partner strategico irrinunciabile» della Germania, ha quasi fatto capire di avere con l’Italia un rapporto più intimo che con gli altri pur fondamentale alleati europei, ha escluso, alla faccia di decine di dichiarazioni precedenti di Starmer e Macron, che sia sul tavolo qualche ipotesi di invio di truppe in Ucraina, aprendo così una porta che permette alla premier di rientrare nel gruppo di testa europeo, le aveva anzi praticamente chiesto di rientrare di corsa in quel gruppo.
La Germania è la Germania. Il suo peso in Europa resta indiscusso. Merz, cioè il Ppe, ha salvato Giorgia dall'umiliazione e dall'essere relegata ai margini. Ma il prezzo della salvezza non è economico. Nel lungo bilaterale Merz e Meloni non hanno certo parlato solo di Ucraina. Su tutto quel che attiene agli sviluppi interni all’Unione europea, dall'accordo di libero scambio che l'Italia esita a firmare ai «movimenti secondari» degli immigrati irregolari sino agli strumenti di finanziamento del Piano di Riarmo, il cancelliere è stato, a detta delle stesse voci da palazzo Chigi, «molto rigido». L'appoggio della Germania è prezioso ma costerà caro. Nella settimana di passione poi, e anzi soprattutto, si è bruciata ogni chimera di equidistanza italiana fra Usa e Ue. Anche qui Merz, come prima di lui la Ppe von der Leyen, ha dato una mano a Giorgia, esprimendo pieno apprezzamento per la sua missione a Washington. Non mentiva. Nessuno in Europa vuole arrivare alla rottura con gli Usa. Qualsiasi appiglio per una soluzione negoziata della guerra dei dazi, al momento solo congelata, è davvero ben accolto.
Ma una cosa sono i dazi, capitolo fondamentale, e un'altra l'Ucraina. Ancora oggi, come sempre negli ultimi anni, l'elemento che sovraordina tutti gli altri è l'Ucraina. L'Europa si sente, e in realtà è davvero, in guerra: nessuna rottura del fronte può essere accettata. Grazie all'Ucraina la leader della destra italiana è stata accolta in tempi brevissimi nel novero dei leader affidabili, quello da cui sono esclusi tutti gli Orbàn, i Simion, le Marine Le Pen w i Salvini d'Europa. Lì nessun passo indietro, neppure se limitato ai toni, può essere accettato. Lì neppure il larghissimo ombrello del Ppe mette al riparo. Ora Giorgia lo sa. E' rientrata nel gruppo di testa europeo. Ma a sovranità limitata.