La premier si avvicina un passo alla volta a Gianfranco Fini e quello di oggi, in apparenza modesto dal momento che si limita a registrare una inconfutata oltre che inconfutabile verità storica, è un gesto invece significativo. La premier ha parlato della Shoah come di un «abominio del piano nazista» e «una tragedia che non ha paragoni nella Storia» ma soprattutto ha aggiunto che il piano del regime di Hitler «trovò anche la complicità di quello fascista, attraverso l'infamia delle leggi razziali e il coinvolgimento nei rastrellamenti e nelle deportazioni».

Per afferrare il peso di queste parole pronunciate dalla leader di FdI bisogna ricordare un evento di cui proprio in questi giorni ricorre il trentesimo anniversario: la svolta di Fiuggi, la trasformazione ufficiale del Msi in Alleanza nazionale. Gianfranco Fini, il principale artefice di quella svolta, è il grande rimosso della destra italiana. Su di lui pesa quasi una vera e propria damnatio memoriae: i leader di quello che è oggi il primo partito italiano non lo nominano mai, fingono semplicemente che non sia mai esistito. La stessa Meloni, quando parla del suo partito come di una forza politica “underdog”, emarginata dal gioco del potere, salta a pie' pari un paio di decenni, quelli nei quali buona parte dei dirigenti oggi di FdI erano pezzi da novanta di An e ministri dei governi Berlusconi nella quota del partito di Fini, premier attuale inclusa. Basti ricordare che il primo a proporre il passaggio dal Msi ad An fu Adolfo Urso, oggi ministro nel governo Meloni.

A tirare fuori dal ghetto l'ex Msi è stato Gianfranco Fini, non Giorgia Meloni. Senza quel “quasi ventennio”, in cui l'ultimo leader del Msi fu ministro degli Interni, vicepremier e presidente della Camera, l'ascesa di FdI sarebbe stata, se non impossibile, almeno molto più difficile. La stessa FdI, del resto, non nasce nel 2012 come “Rifondazione Missina” contro la svolta moderata di Fini ma come doppia reazione all'annessione della stessa An nel Popolo delle Libertà prima e direttamente in Forza Italia dal 2013 e come rottura con un Fini, peraltro ormai fuori gioco, che nell'ultima fase della sua attività politica si era spinto, per molti elettori tradizionalmente della destra più radicale, troppo oltre.

A Fini quegli elettori non perdonavano, tra le altre cose, le parole nettissime sul fascismo “male assoluto”.

La missione di Giorgia Meloni, come capopartito, è stata procedere da un lato sulle orme di Fini, facendo del suo “Nuovo Msi” un partito conservatore se non proprio moderato neppure troppo estremista e dall'altro evitare il passo che fu per alcuni versi fatale a Fini andando troppo avanti nella denuncia del fascismo. Ma è un gioco di prestigio di quelli che diventano sempre più ardui man mano che si procede. Anno dopo anno, con prudenza ma inesorabilmente, la leader di FdI si avvicina alle posizioni del fondatore e presidente di Alleanza nazionale, e su quella strada il passo di ieri è probabilmente determinante.

Non potrebbe essere diversamente, perché una leader che è ormai riconosciuta e apprezzata a livello internazionale, con l'ambizione confessa di giocare un ruolo centrale non solo sul palco della politica italiana ma nel grande spettacolo della politica mondiale, non può permettersi alcuna ambiguità sulla vicinanza al fascismo. Del resto probabilmente Meloni ha davvero poco a che spartire, anche nel suo passato, con nostalgie fasciste. E' di un'altra generazione. Il suo punto di riferimento storico non è mai stato il Regime ma il Msi di Giorgio Almirante, partito certamente di destra radicale e autoritario ma altrettanto certamente - almeno ai vertici perché tra i militanti il discorso era molto più confuso - non antidemocratico.

E tuttavia tra l'ultimo Fini e quella che, le piaccia o meno, è a tutti gli effetti la sua erede c'è una differenza sostanziale. Fini non si era limitato a portare alle estreme conseguenze la sua presa di distanza dal fascismo. Aveva iniziato a immaginare una destra liberale, conservatrice ma anche attenta ai diritti e forse è proprio questo a spiegare l'ostracismo contro qualsiasi cosa lo ricordi nella destra. Quel passo alcuni dirigenti di FdI, come Fabio Rampelli, lo hanno fatto. Giorgia Meloni, almeno per ora, neanche ci pensa.