In pubblico Salvini si contiene un po’. In privato, cioè in sede di Cdm, molto meno. Il suo no all'ipotesi di nominare il governatore dell'Emilia Romagna commissario alla Ricostruzione è contundente. Il ministro delle Infrastrutture si scaglia contro il governatore che si sarebbe preoccupato di «salvare topi e nutrie» invece di costruire argini contro le esondazioni. È lo stesso ritornello rivolto contro il “partito del no”, cioè contro gli ecologisti che per le loro idiosincrasie ambientaliste bloccherebbero tutte le opere, incluse quelle necessarie per salvare vite e beni.

La favola di Salvini è inconsistente per diversi motivi. Prima di tutto perché se una cosa si può imputare all'Amministrazione della Regione rossa nel corso del tempo è casomai il contrario, aver ecceduto nel consumo di suolo, poco nobile gara che vede la Regione di Bonaccini piazzarsi al terzo posto tra le Regioni italiane, anche se è vero che negli ultimi anni l'Amministrazione sta provando a invertire la disastrosa rotta. Poi perché se è vero che non tutto ha funzionato alla perfezione, tanto che sono in piena funzione solo 12 delle 23 casse di espansione fondamentali contro le esondazioni e in agenda già da 7 anni, è anche vero che la strettoia non sono le proteste degli ambientalisti. Sono piuttosto le eterne lungaggini della burocrazia italiana, le stesse che rendono impossibile raggiungere per tempo gli obiettivi del Pnrr.

La vera ragione che spiega il veto di Salvini su Bonaccini non è neppure l'altro argomento accampato dalla Lega: «Non si può affidare un ruolo così importante a un rappresentante dell'opposizione» , per quanto anche questa considerazione abbia il suo peso, soprattutto nelle aree di FdI che spalleggiano il capo leghista su questo fronte. La vera ragione del fermissimo no di Salvini è la paura che Bonaccini ce la faccia. Le capacità amministrative dell'uomo e della sua Amministrazione sono fuori discussione. Lui stesso ci ha tenuto a ricordarle, nel videomessaggio registrato a braccetto con l'arcinemica Giorgia: «Il terremoto aveva fatto 12 miliardi di danni e noi abbiamo ricostruito praticamente tutto. Siamo pronti a riproporre quel modello. L'Emilia si è salvata e la Romagna si salverà». Solo che un successo del governatore targato Pd nella gestione degli oltre 10 miliardi che saranno necessari per la ricostruzione sarebbe una pessima notizia per chi, appunto Salvini, spera di raggiungere nelle prossime elezioni regionali l'obiettivo mancato nelle ultime elezioni, la conquista leghista dell'Emilia rossa e della Romagna.

Forse nella decisione di Salvini c'è anche di più. Anche se nessuno lo ammetterebbe mai, affidare a un dirigente di primissimo piano del Pd la ricostruzione non solo dell'Emilia ma anche delle Marche significherebbe aprire nei fatti un canale di dialogo e legittimazione con l'opposizione. È un obiettivo a cui la premier tiene molto tanto da spingerla a ripetere che «continueremo a lavorare insieme, il confronto sarà costante anche nella seconda fase, quella della Ricostruzione». Il capo della Lega ha però interessi opposti perché più la potente alleata è priva di ogni sponda nell'opposizione, più aumenta il suo potere di condizionamento.

Nel Cdm di martedì una vera decisione non è stata presa. Salvini è riuscito a bloccare la nomina e a Chigi si sono quasi arresi: «Il problema è che non si parla solo dell'Emilia Romagna ma anche delle Marche e quindi non si può mettere tutto in mano al governatore di una delle due Regioni». In effetti se per quanto riguarda la gestione dell'emergenza in Emilia Romagna non potevano esserci problemi, essendo per prassi il governatore a gestire i fondi stanziati dal governo, lo stesso ruolo e per lo stesso motivo è stato assegnato nelle Marche al presidente Acquaroli. È in buona parte una scusa ma non del tutto infondata ed è argomentazione sulla quale battono, ancor più di Salvini, i tricolori contrari a Bonaccini. Il quale però non si è arreso e neppure la sua sponsor nel governo, Giorgia Meloni, ha ancora deciso di darla vinta all'alleato rivale del Carroccio.