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La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il ministro degli Esteri Antonio Tajani (sx) e il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini (dx) nell’ aula della Camera dei deputati durante la commemorazione di Papa Francesco, Roma, Mercoledì, 23 Aprile 2025 (Foto Roberto Monaldo / LaPresse) Prime minister Giorgia Meloni, Foreign minister Antonio Tajani (left) and Infrastructure minister Matteo Salvini (right) at the Chamber of deputies during the commemoration of Pope Francis, Rome, Wednesday Apr. 23, 2025 (Photo by Roberto Monaldo / LaPresse)
Anche un provvedimento utile ma di portata ridotta, come uno sconto di pena di un anno per detenuti condannati per reati minori, non è sfuggito alla legge della concorrenza elettorale tra alleati. E così, Giorgia Meloni ha chiuso ogni spiraglio sulla possibilità di un “indultino”, ventilato nei giorni scorsi come ipotesi tecnica per alleggerire il sovraffollamento delle carceri. Lo ha fatto dopo che alcuni esponenti della Lega, con il consueto piglio muscolare, avevano già fatto sapere di essere contrari a qualunque misura percepita come “lassista”.
Il punto, però, non è solo nel merito. È nella geografia politica dei consensi. Meloni sa che qualsiasi apertura su temi come la giustizia o l’immigrazione può essere letta - e cavalcata - da Matteo Salvini come un segnale di debolezza. Anche se si trattasse solo di un gesto simbolico, con effetti marginali sulla popolazione carceraria. E questo, a pochi mesi dalle elezioni europee e in vista di appuntamenti elettorali delicati sul fronte regionale, è uno scenario che la presidente del Consiglio non può permettersi.
La linea resta quella della fermezza, a costo di lasciare sul tavolo problemi irrisolti. Il fronte interno alla maggioranza, a dispetto dei segnali rassicuranti rilanciati nelle ultime ore dall'inquilina di Palazzo Chigi, continua a mostrare tensioni. La competizione tra Fratelli d’Italia e Lega da una parte, e tra il Carroccio e FI dall'altra, resta sotterranea ma costante. Soprattutto sui dossier che toccano le corde più sensibili dell’elettorato di centrodestra: sicurezza, immigrazione, giustizia.
Salvini, svanito l'effetto del congresso, cerca ogni spazio possibile per differenziarsi. E non è un caso che ad aprire il fuoco di sbarramento contro l’ipotesi indultino siano stati proprio i leghisti. Ma non è solo su questo che si gioca la partita interna. La questione dell’autonomia differenziata - cavallo di battaglia storico del Carroccio continua a dividere sottotraccia. Il testo Calderoli, anche in versione Consulta- friendly, è osteggiato da ampi settori di Forza Italia. Meloni, pur avendo formalmente garantito il sostegno dell’esecutivo, è preoccupata e non a caso è tornata a spingere sul premierato, parlando anche di una sua possibile ricandidatura nel 2027, che coerentemente al suo ragionamento sarebbe la prima sottoposta all'elezione diretta.
Il leader leghista, nel frattempo, tiene impegnato il fronte interno con la consueta “guerriglia”, in special modo sulla politica estera: dopo aver annunciato a Firenze un'Opa – seppure non ostile – sul Viminale, invia messaggi d'affetto ai tedeschi di Afd ( estromessi dai Patrioti europei per alcune esternazioni ambigue sul nazismo), bollando come «furto di democrazia» la classificazione da parte dei servizi segreti tedeschi di quel partito come di «estrema destra» e potenzialmente pericoloso per la democrazia. Nei giorni scorsi, inoltre, il vicepremier aveva plaudito alla decisione del presidente ungherese Viktor Urban di lasciare la Corte Penale Internazionale, suscitando una serie di reazioni polemiche. La convivenza nel centrodestra resta una questione di equilibrio instabile. Meloni, forte del primato nei sondaggi e della rendita di posizione a Palazzo Chigi, tiene le redini della coalizione, ma teme che ogni concessione possa trasformarsi in un assist per gli alleati. E Salvini, come detto, non ha altra scelta che alzare i toni, nella speranza di recuperare visibilità.
Forza Italia, nel frattempo, si muove come ago della bilancia, alternando fedeltà istituzionale a rivendicazioni identitarie, soprattutto sulla giustizia e sull'Europa. Il rischio, per il governo, è che l’unità formale della maggioranza finisca per essere una copertura fragile su dossier cruciali. Ma a differenza che sull'altro fronte, nessuno ha interesse a rompere. Troppo alta la posta in gioco, quella del governo del Paese. Tra piccoli sgambetti, silenzi e distinguo, la legislatura va avanti in un equilibrio che, almeno per ora, sembra decisamente duro a essere minato dall'opposizione.