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TOMMASO FOTI MINISTRO AFFARI EUROPEI
Il ministro Tommaso Foti, in un’intervista al Corriere della Sera, ha difeso l’operato del governo in merito al caso Almasri, rispondendo punto per punto alle polemiche sollevate dalla magistratura e alla denuncia pubblica della premier Giorgia Meloni, che aveva parlato di un «disegno politico» delle toghe per ostacolare la riforma della giustizia.
«In gioco c’è l’equilibrio tra i poteri. Se il potere politico non può parlare e criticare, mentre l’ordine giudiziario può farlo liberamente ritenendosi in posizione di preminenza, allora c’è squilibrio», ha dichiarato Foti, ribadendo la legittimità del dibattito sulla separazione delle carriere.
Separazione delle carriere: «La maggioranza ha il dovere di attuarla»
Il nodo della riforma resta centrale. Foti ricorda che la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri era nel programma di governo, e che «una maggioranza ha il dovere di attuarla».
A chi insinua che l’iniziativa abbia finalità elettorali in vista di un referendum, il ministro replica: «Non vedo imminente la battaglia referendaria. Il referendum non lo cerca la maggioranza, semmai l’opposizione, che non vota una riforma condivisa in passato anche da parte della sinistra. Ma gli italiani sanno decidere».
Foti nega che l’obiettivo del governo sia colpire i controllori, ovvero la magistratura: «Non è che la separazione delle carriere impedisca ai magistrati di controllare i politici. Non vedo alcuna lesione di diritti. O vogliamo riaprire la pagina di un certo Csm?».
«Nessun ricatto libico, niente prove»
Alla domanda se l’esecutivo abbia agito sotto ricatto della Libia, Foti risponde secco: «Mi arrendo. Che film è questo? Dove sono le prove?».
Il ministro richiama la necessità di rispettare il segreto d’ufficio, sottolineando che gli allegati alla richiesta di autorizzazione a procedere sono visionabili solo dai membri della Giunta per le autorizzazioni.
«Per fortuna non siamo più nella fase dei tribunali del popolo», afferma Foti, rivendicando il ruolo del Parlamento. «Può negare l’autorizzazione ritenendo che il governo abbia agito nell’esercizio delle sue funzioni e per la tutela di un interesse dello Stato».