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La partita in realtà durissima che, dietro i sorrisoni d'ordinanza, la premier e il ministro delle Infrastrutture hanno ingaggiato sul tema immigrazione non finirà a Cutro. Il fronte immigrazione è troppo importante perché Salvini possa mollarlo senza provare a combattere e in qualche modo alla fine probabilmente combatterà. Ma per il momento il Capitano è costretto ad arretrare e anche di parecchio. Il decreto di Cutro non solo segna il passaggio dalla strategia rumorosa e truculenta dei respingimenti a quella discreta e sotterranea del “fermare le partenze” ma sottrae anche a Salvini e ai salviniani ogni voce in capitolo.
Sui flussi decide palazzo Chigi e solo palazzo Chigi: significa Giorgia Meloni ma significa soprattutto Alfredo Mantovano il sottosegretario che non spreca parole, preferisce lavorare nel silenzio assoluto ma gestisce già rapporti delicatissimi come quelli con il Vaticano e con il Colle. E' facile prevedere che il proconsole sarà lui e si affiderà al suo stile, diametralmente opposto alla teatralità dell'istrione leghista. La sorveglianza marittima passa sotto il controllo della Difesa, cioè di Crosetto che, nonostante qualche dichiarazione imprudente abbia provocato un calo delle sue quotazioni a corte, resta un pilastro della gestione meloniana. A perderci sono Salvini, con la sua Guardia costiera, e il suo alter ego del Viminale.
La premier, oltre al suo ormai preponderante peso specifico, ha in questo momento all'attivo due assi. Il primo è la disastrosa gestione della tragedia di Cutro da parte di Piantedosi. Il ministro non ne ha letteralmente azzeccata una: dalle folli dichiarazioni del primo giorno sino alla scelta, forse però indotta dalla stessa Meloni, di presenziare al cdm facendosi rappresentare dal sottosegretario leghista Molteni al vertice sull'immigrazione dei ministri degli Interni Ue a Bruxelles. Un errore grossolano, chiunque abbia preso la decisione, dopo che proprio l'Italia aveva chiesto, con la lettera della presidente del consiglio, di mettere l'immigrazione al centro del Consiglio europeo del 23 marzo. Dopo quella richiesta l'assenza del ministro italiano al vertice è stata presa dai partner europei con malcelato sbigottimento, tanto più che i Paesi del nord insistono, come ha fatto anche mercoledì l'olandese Rutte nel colloquio di Roma con la premier, perché l'Italia si faccia carico della sorveglianza sui “movimenti secondari”.
In soldoni che blocchi alle frontiere i migranti che proseguono dall'Italia verso il nord Europa se vuole un aiuto nella gestione delle molto meno facilmente controllabili frontiere marittime. La seconda carta nelle mani della premier è proprio l'intesa perfetta tra lei e la presidente von der Leyen. Per la prima volta la destra italiana, grazie alla svolta voluta da palazzo Chigi nelle politiche dell'immigrazione, e la Commissione sembrano parlare la stessa lingua. E' nell'ordine delle cose che Meloni esalti la sterzata come un evento epocale. Si tratta certo di un'esagerazione ma il cambio di quadro è reale. Solo che quella dei rapporti con l'Europa è una carta infida, sempre scivolosa, anche quando le nuvole sembrano essersi un po' diradate e proprio l'insistenza dei Paesi del Nord sul controllo delle frontiere italiane a nord lo dimostra. Del resto il Consiglio del 23 discuterà davvero di immigrazione, sulla base di un report che sta preparando la presidente della Commissione ma non prenderà alcuna decisione. I tempi della Ue sono quelli che sono ma sul capitolo immigrazione blocchi e sorde resistenze sono anche più paralizzanti del solito.
Senza una svolta effettiva e non solo a parole dell'Europa Salvini avrà gioco facile per tornare alla carica, probabilmente sfruttando la proposta di legge leghista sui permessi di soggiorno firmata da Iezzi e Molinari, in commissine Affari costituzionali alla Camera. La proposta, se accolta resusciterebbe di fatto i decreti Salvini e per la premier fermarla sarà difficile, senza una risoluzione diplomatica della vicenda. Gli umori della truppa parlamentare dell'intera destra, non solo della Lega, sono quelli a cui danno voce l'azzurro Gasparri, che vorrebbe rivedere la Bossi-Fini perché troppo morbida, o il tricolore De Corato, vicepresidente della commissione che discuterà la legge, che non esita a dichiararsi del tutto d'accordo con il testo leghista. Insomma, senza un intervento per una volta tempestivo e concreto dell'Europa, non è affatto escluso che Salvini e Piantedosi possano presto provare a prendersi la rivincita.