Da quando è presidente del Consiglio Giorgia Meloni vola da una capitale all'altra praticamente a tempo pieno ma quello di oggi a Washington non è un viaggio come tutti: è la prova del 9, l'esame decisivo. Per i capi di governo italiani le visite alla Casa Bianca sono sempre un passaggio cruciale e spesso non privo di tensione. L'allora segretaria di Stato Madeleine Albright lasciò in anticamera il presidente D'Alema, alla fine dei ' 90, per ore, tanto per far capire all'ex comunista come stavano le cose.

La premier sovranista molto più di nome che di fatto arriva negli Usa con tutt'altre e ben più rosee aspettative. In primo luogo, certo, perché proprio lei, un tempo vicina a Putin, si è trasformata nella più fedele alleata degli Usa nella Ue occidentale e soprattutto l'unica leader italiana, a destra come a sinistra, in grado di garantire la tenuta dell'assoluto allineamento di Roma a Washington. È un fattore chiave nel garantire l'ottima disposizione di Biden ma non è il solo.

La politica africana di Giorgia Meloni non si limita affatto al fronte più vistoso ma non necessariamente più importante, cioè quello dell'immigrazione. L'ambizione del “Piano Mattei” va molto oltre il modello libico, cioè il finanziamento di regimi e signori della guerra perché si incarichino di fermare gli immigrati senza badare ai metodi feroci che adoperano. L'obiettivo è una partnership economica con l'Africa fondamentale sia dal punto di vista dell'approvvigionamento energetico sia da quello del contrasto a una presenza cinese nel continente dilagata nei decenni nei quali l'occidente non ha fatto nulla per contrastarla. Nel clima da nuova guerra fredda che si sta imponendo con la Cina, quel contrasto diventa essenziale e l'Italia di Giorgia Meloni si candida a gestirne la regia nel quadrante fondamentale del Nord Africa e non solo.

Non solo come “premio” per fedeltà nella guerra ucraina ma anche per poter portare a termine la missione che lei stessa si è data, la premier italiana chiederà di certo all'amico americano di sbloccare la situazione degli aiuti del Fmi alla Tunisia. Ottenere dalla Casa Bianca un intervento per spingere il Fondo ad accettare una mediazione, come il prestito scaglionato ed erogato sulla base delle riforme effettivamente realizzate da Saied, renderebbe l'inquilina di Chigi una figura centrale sia nella Ue che nei rapporti con i Paesi africani. Il compito è difficile ma non impossibile e l'italiana vanta crediti a sufficienza per poterci almeno provare.

Ma i vantaggi che la nuova guerra fredda assicura all'Italia hanno il loro rovescio della medaglia. Biden insisterà perché l'Italia abbandoni la via della Seta, denunci il memorandum firmato a suo tempo da Conte e Di Maio. La Cina ha già aperto il fuoco con il monito esplicito uscito sul Global Times: «Sulla via della Seta Meloni deve decidere senza subire l'influenza di Biden». Sul fronte opposto, però, Biden si aspetta non solo di poter esercitare in pieno la sua influenza ma anche di ottenere impegni concreti e formali che sostanzino la promessa, sinora solo vaga e formale, di rescindere gli impegni presi da Conte.

In tutta evidenza, un passo del genere da parte di Roma imporrebbe l'incremento dei rapporti commerciali, già molto intensificati, tra Usa e Italia e su quel fronte ci sono in realtà parecchi dossier in sospeso, a partire da quello della possibile privatizzazione di Tim. Insomma, oggi a Washington la premier si gioca moltissimo. Sul piano dell'immagine, che non è secondario, ma anche su piani molto più sostanziali e sostanziosi.