Le precisazioni di Francia e Germania, indisponibili ad accogliere una parte dei migranti sbarcati a Lampedusa in questi giorni, sono altra manna dal cielo per un Matteo Salvini sempre più lepenista. Puntare il dito sull’apparente retromarcia franco-tedesca è un modo come un altro per tenere alta la tensione sul tema a lui più caro - la presunta «invasione» dei disperati in fuga dall’Africa - e mettere ancora alla berlina, senza mai dirlo apertamente, la politica del dialogo con l’Europa messa in atto dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni. «Basta chiacchiere, gli italiani si aspettano e si meritano dalla Francia e dall’Europa dei fatti concreti!», fa sapere la Lega subito dopo le parole del ministro dell’Interno francese Gérald Darmanin. Basta passerelle, è il sottotitolo del messaggio rivolto a Emmanuel Macron e Ursula von der Leyen, certo. Ma soprattutto alla premier italiana, che con l’Eliseo e Bruxelles ha aperto un canale di dialogo ritenuto inutile dal leader del Carroccio, intenzionato a non mollare la presa su una questione, quella dei migranti, che tanta fortuna gli portò alle Europee del 2019. Difficile ripetere quel trionfo (il 34 per cento dei consensi) cinque anni dopo.

L’obiettivo, molto più modesto, per la prossima primavera è riportare la Lega almeno alla doppia cifra, rubando voti proprio all’alleata di governo che, tra le altre cose, ha scelto di affidare la cabina di regia sull’immigrazione al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, estromettendo di fatto l’ex ministro dell’Interno dalla questione. C’è anche questo “sgarbo” tra le voci del conto che i leghisti intendono presentare a Meloni, oltre agli ammiccamenti con i Popolari europei - per costruire un asse politico con i Conservatori al centro nel futuro Parlamento Ue - che non sono piaciuti affatto ai salviniani.

E se Fd’I ondeggia tra Orban e gli inciuci “troika”, la Lega non ha dubbi: rafforzare l’ultradestra europea è l’unica partita che valga la pena giocare, a costo di mettere in imbarazzo Palazzo Chigi e logorare la maggioranza. Quanto senso abbia questa strategia in termini politici è presto per dirlo. Ma di certo a Pontida Salvini ha deciso di passare il Rubicone e lanciare la sua sfida. La presenza di Marine Le Pen su quel prato un tempo “sacro” per gli aspiranti secessionisti padani è solo manifestazione fisica di una scelta già presa. La Lega vuole tornare punto di riferimento per quell’internazionale nera che guardava con ammirazione al “capitano” che chiudeva i porti ai migranti.

Marine e Matteo (ieri ancora insieme, ospiti di Bruno Vespa) si sentono «destinati a vincere», in Francia come a Strasburgo, e provano a convogliare tutte le forze sovraniste del vecchio continente per raggiungere lo scopo: trasformare la vecchia Unione nell’«Europa dei popoli», formula abbastanza vaga che può significare tutto e il suo contrario allo stesso tempo. Bruxelles torna così a essere la matrigna governata da burocrati da spodestare nella retorica salviniana. «Vivono su Marte quelli che a Bruxelles pensano di reintrodurre e reimporre sulle teste degli italiani e dei cittadini europei il Patto di stabilità tutto tagli, rigore e sacrificio.

Non è il momento di chiedere sacrifici a chi ne ha fatti abbastanza», sono gli anatemi di Pontida contro un’Europa che vorrebbe tirarci su a «farina di cavallette». Senza contare gli attacchi all’Islam, da guardare «con estrema attenzione» e gli strali improvvisi contro gli imprenditori come George Soros che «finanziano l’annientamento della civiltà occidentale». Salvini ripesca dall’armadio tutto l’armamentario propagandistico dell’ultradestra europea e lo riporta al centro del dibattito spostando pericolosamente l’asse del governo italiano. Perché un conto è fare l’incendiario da leader di un piccolo partito d’opposizione e altro è appiccare il fuoco dal pulpito della vice presidenza del Consiglio dell’Italia.

È una mina piazzata sotto i piedi di Giorgia Meloni, come dimostrano anche le parole pronunciate sulla tv francese da Sebastien Chenu, deputato del Rassemblement National di Le Pen. La premier italiana sul tema dell’immigrazione ha avuto delle posizioni «incantatorie» ma «non è stata capace o non ha voluto metterle in atto, cosa che rappresenta una delusione assoluta», dice Chenu, evidentemente consapevole della nuova strategia sovranista. Invece Salvini, ai tempi del Conte uno, «era riuscito» nel suo lavoro. La leader di Fd’I è avvisata.