Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, si è dimesso, e la crisi di governo è formalmente iniziata. Il capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha respinto le dimissioni e lo ha rinviato alle Camere, dove parlerà mercoledì. «La maggioranza di unità nazionale che ha sostenuto questo governo dalla sua creazione non c’è più - ha detto Draghi in Consiglio dei ministri - È venuto meno il patto di fiducia alla base dell’azione di governo: in questi giorni da parte mia c’è stato il massimo impegno per proseguire nel cammino comune, anche cercando di venire incontro alle esigenze che mi sono state avanzate dalle forze politiche ma come è evidente dal dibattito e dal voto in Parlamento questo sforzo non è stato sufficiente». Draghi ha poi ribadito quello che è il suo pensiero fin dall’inizio del suo governo. «Dal mio discorso di insediamento in Parlamento ho sempre detto che questo esecutivo sarebbe andato avanti soltanto se ci fosse stata la chiara prospettiva di poter realizzare il programma di governo su cui le forze politiche avevano votato la fiducia - ha aggiunto - Questa compattezza è stata fondamentale per affrontare le sfide di questi mesi ma queste condizioni oggi non ci sono più». Da qui la decisione del capo dello Stato di “parlamentarizzare” la crisi, rinviando Draghi alle Camere. Come anticipato dalla penna più affidabile quando si tratta di interpretare i pensieri del Quirinale, Marzio Breda, Mattarella dovrebbe considerare come esaurite altre ipotesi di governo in questa legislatura, ma evidentemente vuol tentare un’ultima carta. La giornata era cominciata con un surreale silenzio tra i corridoi di palazzo Madama, la classica quiete prima della tempesta. Dopo giorni di dialettica tra il leader M5S, Giuseppe Conte, e il presidente del Consiglio, a metà mattina è il ministro per i Rapporti con il Parlamento, il pentastellato Federico D’Incà, a tentare l’estrema mediazione. In sostanza, propone allo stesso Draghi di evitare di porre la fiducia, evitando così che i senatori grillini lascino l’Aula. La risposta è netta: non se ne parla. Nel frattempo il Senato ribolle (è proprio il caso di dirlo, fuori si va ben oltre i 30 gradi) e quando iniziano le dichiarazioni di voto nessuno le manda a dire. Il leader di Italia viva, Matteo Renzi, si appella al presidente del Consiglio affinché rimanga al suo posto. Luca Ciriani, capogruppo di Fratelli d’Italia, chiede di tornare al voto. Per la Lega non parla il capogruppo, Massimiliano Romeo, ma Paolo Tosato, mentre l’imbarazzo è palese tra i banchi del Pd. Per i dem parla Simona Malpezzi, che cerca di smarcarsi dall’idea del “campo largo”, andata ormai a farsi benedire. E mentre in buvette vanno a ruba le vaschette colme di macedonia, la tensione si alza quando Anna Maria Bernini, capogruppo di Forza Italia, si scaglia contro il Movimento 5 Stelle, chiedendo le dimissioni dei suoi ministri. Non sa ancora che le uniche dimissioni di giornata saranno quelle dell’ex presidente della Bce. Infine, l’intervento più atteso, quello di Mariolina Castellone, capogruppo M5S. Il cui discorso sembra più quello di un partito all’opposizione che di un partito, almeno in teoria, ancora al governo. Poco prima delle quindici arriva il verdetto: 172 sì, 39 no e nessun astenuto. Sono 61 gli assenti grillini, cioè tutti. Compreso il ministro dell’Agricoltura, Stefano Patuanelli, ufficialmente in missione. Negli stessi minuti arriva lei, intramontabile come sempre e presentissima a ogni crisi di governo: l’ipotesi Amato. Ma la tesi per cui l’attuale presidente della Corte costituzionale possa guidare un governo elettorale che porti il paese al voto a ottobre stavolta è più surreale del solito. Mario Draghi è ancora a palazzo Chigi, ma proprio mentre la presidente Casellati espone l’esito del voto sale al Quirinale, dove resta a colloquio per meno di un’ora con il presidente della Repubblica. «Draghi non si è dimesso, ma sta riflettendo», si apprende poco prima delle diciotto. Il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, a chi gli chiede se la partita del governo sia finita risponde che «ci sono ancora i supplementari». Quando i ministri si radunano in Consiglio, nel tardo pomeriggio, il pressing su Draghi è asfissiante. Pd e Forza Italia gli chiedono di restare, ma lui ha deciso. Risale al Colle e si dimette. Meloni invoca il voto, il Pd prende tempo, Renzi chiede un Draghi bis senza grillini, Salvini parla di «momento drammatico».