Aleggia un serio rischio sulla giustizia. Una dicotomia paradossale. Ci sarà la riforma del processo civile improvvisamente messa sui binari dell’alta velocità: ora giace semi inerte al Senato, per le incertezze della vecchia maggioranza, con Draghi premier viaggerà spedita verso l’approdo sollecitato dall’Ue. Ci sarà poi tutto il resto: penale, carcere, Csm, separazione delle carriere. Nodi sui quali, come segnalato ieri su queste pagine, si rischia la paralisi da conflitto. Il Parlamento sarà un terreno di scontro fra le forze della futura maggioranza, divise su tutto quanto riguardi il duello giustizialisti- garantisti. Il none del guardasigilli è dunque legato a un’incognita: cosa potrà fare? Quanto potrà muoversi? A parte il dossier sul civile, come farà a evitare il rischio che l’esecutivo potenzialmente più produttivo della Repubblica sconti proprio sulla giustizia una clamorosa afasia?

Tutte incognite che potrebbero a breve complicare il sonno di Marta Cartabia. È lei la candidata più forte per il dicastero di via Arenula. È anzi l’unica che viene data per quasi certa nella lista di Mario Draghi. Ha diversi punti a favore: la levatura di giurista e intellettuale, l’assenza di relazioni con i partiti a fronte di un prestigiosissimo curriculum istituzionale da prima presidente donna della Consulta, la specificità di cattolica attenta a temi “progressisti”, dalle pari opportunità ai migranti. E naturalmente, il privilegio di essere diventata, nel 2011, giudice costituzionale su indicazione del Colle. Di Giorgio Napolitano, per l’esattezza. Ma non ci sono riserve sulla considerazione che ha di lei anche Sergio Mattarella. Il che, per un esecutivo del presidente, non è requisito marginale.

Eppure, la forza dell’ipotesi Cartabia deve fare i conti con le difficoltà che in ogni caso un futuro guardasigilli finirà per avere. Ma c’è un particolare profilo che potrebbe aiutare la presidente emerita della Consulta, qualora nelle prossime ore fosse effettivamente lei a giurare da ministro della Giustizia: l’attenzione per il carcere, l’impegno di giurista e intellettuale cattolica sull’idea di una pena aperta alla speranza per qualsiasi detenuto. Idea di cui si ha un manifesto nel suo recente libro, “Un’altra storia inizia qui”, scritto con Adolfo Ceretti e centrato sulla lezione di Carlo Maria Martini. Perché mai il carcere dovrebbe salvare Cartabia? Perché, sembrerà strano, ma proprio il carcere può essere il solo ponte in grado di mettere in comunicazione, sulla giustizia, la vecchia maggioranza di Conte col resto del mondo. O meglio: Pd e Movimento 5 Stelle con Italia viva e Forza Italia. È così, soprattutto considerato lo sforzo politico messo in campo dal Pd durante le consultazioni, e già nei tentativi per il Conte ter, in vista di un rilancio della riforma penitenziaria. La riforma Orlando, per intenderci. Quella che Nicola Zingaretti ha indicato a Draghi fra le priorità del Nazareno per la giustizia. L’attuale vice di Zingaretti, Orlando appunto, aveva elaborato la riforma penitenziaria con gli Stati generali dell’esecuzione penale quando era guardasigilli. Poi la lasciò senza il sigillo finale alla vigilia delle Politiche 2018, per i timori renziani di perdere voti tra l’elettorato forcaiolo. Alfonso Bonafede ha tenuto il cuore di quella riforma in un cassetto chiuso a chiave. E il cuore riguardava l’eliminazione delle preclusioni rigide nell’accesso ai benefici penitenziari. Il dato politico nuovo è che nelle difficili e infruttuose trattative per il Conte ter, il Movimento 5 Stelle aveva accordato a Orlando e Zingaretti un nulla osta per il rilancio della riforma penitenziaria. È di ieri la notizia ( di cui si dà conto anche in altro servizio, ndr) data da Rita Bernardini a proposito dell’appello che l’ha convinta a interrompere lo sciopero della fame per le carceri: il primo firmatario di quell’appello è stato Mario Perantoni, presidente della commissione Giustizia di Montecitorio e deputato del Movimento 5 Stelle.

Cartabia può dare senso, contenuto, valore ideale e priorità all’unica riforma di ambito penalistico che potrebbe regalare sorprese. Anche per questo è un candidato difficilmente contendibile per via Arenula. Vale la pena di citare un passaggio della sua “Martini Lecture”, pronunciata lo scorso 16 ottobre alla Bicocca: «La dignità va intesa come incomprimibile possibilità di recupero, di riscatto, qualunque cosa sia accaduta prima, qualunque fatto sia stato commesso: qui è la dignità della persona». È il senso della storica sentenza con cui la Corte costituzionale nel 2019 ha dichiarato illegittimo il vincolo che consentiva, per i detenuti “ostativi”, l’accesso ai permessi premio solo a condizione che si pentissero.

C’è dell’altro. Processo civile a parte, le residue materie sono talmente conflittuali che per farne oggetto di una qualche riforma serviranno straordinari sforzi di fantasia. E anche qui potrebbe aiutare il profilo di una costituzionalista bocconiana come Cartabia. A suggerirlo è un consigliere laico del Csm come Alessio Lanzi, a sua volta accademico proveniente da un altro ateneo milanese, la Bicocca: «La nomina di Cartabia a via Arenula sarebbe una fortuna: un costituzionalista», dice Lanzi al Dubbio, «sa cogliere i problemi nella loro possibile soluzione alla luce dei principi della Carta. Vuol dire poter interpretare dove altri si fermano, avere una visione complessiva che suggerisce strade diverse e originali». Uno spiraglio nello scenario difficile della futura maggioranza.

Tra molti spunti che incoraggiano un incarico a Cartabia c’è però, a proposito di Csm, una notizia curiosa: ieri il plenum di Palazzo dei Marescialli doveva scegliere un nuovo componente laico per il Comitato direttivo della Scuola superiore della magistratura. In gara c’era anche una docente della Bicocca, Elisabetta Lamarque, che era stata assistente di Cartabia. Ha perso: il Csm le ha preferito una professoressa dell’università di Catania, Maria Rosaria Maugeri. Capita. Se non altro Palazzo dei Marescialli non ha cercato di blandire il probabile futuro ministro. Autonomia e indipendenza nel senso letterale dell’espressione: fosse sempre così, l’Italia sarebbe l’eden della magistratura.