Prima di puntare alla leadership del centrodestra, Matteo Salvini farebbe bene a difendere quella all'interno del suo partito: la Lega Nord. La politica degli slogan e delle felpe, che pure ha consentito al Carroccio di ottenere risultati impensabili fino a poco tempo fa, comincia ad andare stretta a una parte consistente del partito fondato da Umberto Bossi. A cominciare da Roberto Maroni, presidente della Regione Lombardia, che da mesi non perde occasione per marcare le distanze dal segretario padano. Ad esempio, se per Salvini, il Presidente della Repubblica in tema di immigrazione può essere considerato «complice di scafisti, sfruttatori e schiavisti», per Bobo, Sergio Mattarella è un Capo dello Stato «innovativo», perché «ha parlato per esempio della necessità di bloccare le emigrazioni alla partenza». Ma le divergenze più profonde tra i due si registrano sul tema delle alleanze. Per il leader della Lega, Stefano Parisi non può essere considerato il "federatore" che condurrà il centro destra alle prossime elezioni politiche: «Se il suo è il modello Milano, che è poi un modello perdente visto il risultato, è evidente che noi non ci stiamo», continua a ripetere Salvini. «Io gli do credito, almeno per il momento», gli fa eco, intervistato dal Corriere della Sera, Maroni che aggiunge: «Aspettiamo comunque la sua convention, ma io tifo per chiunque sia in grado di riaggregare il centrodestra».In ballo ci sono due visioni opposte del partito e del campo di gioco politico-elettorale. Salvini ha concentrato tutti i suoi sforzi nella creazione di un fronte a trazione lepenista, nel tentativo di marginalizzare Forza Italia ed escludere i centristi dalla competizione. L'ex ministro dell'Interno, che si autodefinisce un «tattico», pensa invece che a «dare le carte» sia ancora Silvio Berlusconi e che non si possa immaginare un centro destra senza moderati. In sostanza, la fase delle "ruspe" - utilissima a far dimenticare Belsito, Bossi jr e i fondi in Tanzania - è finita. Per rendersene conto, è la tesi dei maroniani, basta dare un'occhiata ai deludenti risultati elettorali della Lega alle ultime Amministrative. A Milano il Carroccio non è andato oltre l'11 per cento, facendosi quasi doppiare da Forza Italia che con oltre il 20 per cento resta di gran lunga il partito più consistente della coalizione. E se è vero che a Roma il segretario padano è riuscito a mettere in mostra la debolezza dell'ex presidente del Consiglio (FI si è fermata a un imbarazzante 4,7 per cento), è anche vero che la lista "Noi con Salvini" è rimasta inchiodata a un misero 2,7 per cento. Un argomento in più per gli "oppositori" di una Lega nazionale. «Venti anni fa fui spedito da Bossi al Sud per fare la Lega Italia Federale, quel progetto non andò bene», ha ricordato pochi giorni fa Maroni. «Perché aggregare le forze autonomiste e territoriali con un patto federativo è corretto, il rischio è che l'investimento al Sud depotenzi il messaggio nordista. Quasi ovunque vada alle feste del partito vedo il simbolo della Lega e poi le bandiere con lo slogan "prima il Nord", quello del mio congresso del 2012».Sullo sfondo, oggi, c'è un altro congresso quello che da statuto dovrebbe tenersi entro dicembre 2016. Salvini potrebbe provare a spostare la data di qualche mese, ma non è scontato che il suo mandato venga confermato senza una vera competizione. Perché tra i possibili sfidanti salgono le quotazioni di Paolo Grimoldi, segretario della Lega Lombarda, molto stimato da Maroni che però assicura: Salvini «è il leader e deve continuare ad esserlo. E comunque io non farò niente per danneggiare il nostro segretario».