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La capacità di Bruxelles di proteggere i cittadini dalla crisi è stata determinante
La diga francese ha retto meglio del previsto. Gli oltre 16 punti di distacco tra l'eletto Macron e la sconfitta Le Pen non sono i 32 di cinque anni fa ma neppure la vittoria sofferta e di un soffio prevista alla vigilia del primo turno, quando i sondaggi davano sì il presidente per vincente ma di soli due punti, 51% contro 49%. D'altra parte cinque anni fa Macron era la novità assoluta nella quale moltissimi riponevano ogni sorta di speranze. Oggi è un presidente la cui scarsa popolarità resta certificata nonostante la vittoria. Senza alcun dubbio nella vittoria nettissima ha pesato una pregiudiziale antifascista che in Francia è fortissima e ha spinto molti elettori di Mélenchon a votare per un presidente che certo non amano pur di fermare l' “impresentabile” Marine. Deriva anche da questa considerazione la paura del voto alle prossime legislative palpabile nell'entourage del presidente rieletto: perché alle legislative l'obbligo di fermare a tutti i costi una possibile presidente di estrema destra non ci sarà e in compenso l'elettorato di France Insoumise potrà mettere la crocetta sulla propria lista. Mélenechon ci spera molto, la sconfitta Le Pen anche.
Tuttavia la pregiudiziale antifascista non basta a spiegare il successo netto di Macron dopo una fase segnata dalla pandemia, che avrebbe potuto provocare un disagio sociale così diffuso da travolgere persino quel muro.
A incidere è stata la risposta europea alla crisi innescata dal Covid: tempestiva, adeguata e tale da attutire il colpo della crisi. Gli elettori sono arrivati alle urne molto preoccupati per il previsto calo del potere d'acquisto, argomento centrale nella campagna elettorale, non disperati per il crollo di quel potere d'acquisto. Se così fosse stato, probabilmente, neppure la determinazione antifascista dei francesi avrebbe evitato il ko di Macron. D'altra parte è eloquente la scomparsa dall'agenda della sfidante dell'uscita dall'euro. La realtà è che nella crisi Covid e grazie alla risposta sia della Bce che della Commissione e del Consiglio a quella crisi, l'Unione ha smesso di apparire a molti, non solo in Francia, come “matrigna” e si è invece affermata come indispensabile protezione.
Dare per sconfitti il sovranismo e il populismo, come per un attimo è sembrato possibile dopo la caduta del presidente sovranista a Washington, sarebbe tuttavia troppo ottimista. I risultati di domenica non solo neppure si avvicinano al trionfo schiacciante di Chirac contro Le Pen padre al ballottaggio del 2002 ( 82,21%) ma sono distanti anche da quelli del 2017. Le Pen è sconfitta, non sgominata. Se si guarda ai sondaggi italiani o a quelli americani, il quadro non cambia. Il Pd di Letta, se saprò giocare la partita come ha fatto sinora e complici divisioni della destra profondissime, ha oggi chances di vittoria molto superiori a quelle che erano un paio d'anni fa ma resta impetuosa la crescita di FdI nei sondaggi, che compete oggi per il primo partito in un testa a testa col Pd che varia letteralmente di settimana in settimana. Ma è significativo che anche in Italia le forze antieuropee si siano tutte convertite, dopo la crisi Covid, a un più o meno convinto europeismo. Negli Usa almeno per ora la fermezza nella crisi ucraina non sembra risollevare le sorti del presidente in vista delle elezioni di midterm e tra i Repubblicani Donald Trump, nonostante il colpo inflittogli dall'amicizia con quello che è oggi il nemico numero uno, ha ancora notevoli possibilità di conquistare la candidatura per il 2024.
A fermare l'offensiva delle forze sovraniste e populiste ( non sempre sovrapponibili) che alla fine del decennio scorso sembrava vincente è stata la reazione dell'Europa alla crisi Covid. Avrebbe potuto essere una svolta definitiva: dopo gli aiuti immediati, la sospensione dei parametri e la disponibilità della Bce a permettere di fare debito in quantità inaudita, gli investimenti del Recovery Fund dovevano garantire una ripresa galvanizzante e la modifica delle regole di Maastricht completare e coronare l'opera. La crisi energetica, la guerra, le sanzioni e l'inflazione sono l'imprevisto che può offrire a un populismo sovranista fermato ma non sconfitto l'occasione per tornare all'offensiva. Molto, se non tutto, dipenderà da come l'Europa riuscirà ad attrezzarsi per fronteggiare la crisi. Se la risposta, a partire dal prossimo e decisivo Consiglio europeo, sarà a livello di quella dispiegata contro la mazzata della pandemia, il populismo continuerà ad arretrare, senza scomparire ma senza impensierire troppo. In caso contrario tutto tornerà in ballo.