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Foto di Paolo Giandotti - Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)/LaPresse
In una campagna elettorale a base di tappi per le bottiglie di plastica, grilli fritti e torte a forma di ponte sullo Stretto, la Lega ha trovato pure il modo attaccare il capo dello Stato. Reo, Sergio Mattarella, di scandire in forma di augurio alle Forze Armate per il 2 giugno un memo per le prossime elezioni europee, con le quali «consacreremo la sovranità della Ue». Che è poi quel che scandisce l’articolo 11 della Costituzione, quando prescrive (perché questo è la Carta comune, un insieme di prescrizioni che definiscono la Repubblica, mica un elenco di opinioni) che «l’Italia consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni».
Quell’ordinamento - sia detto per inciso - è anzitutto l’Unione europea, nata sulle fondamenta della Ceca, la Comunità del carbone e dell’acciaio cui nel dopoguerra leader lungimiranti come Jean Monnet, Robert Schuman, Konrad Adenauer e, sì, pure Alcide De Gasperi, diedero immediatamente vita: perché mettere in comune tra quelli che oggi chiamiamo Paesi fondatori le risorse energetiche e le materie prime avrebbe evitato che leadership assai meno lungimiranti potessero nuovamente riarmarsi e dichiararsi guerra.
Possibile che Claudio Borghi, economista e parlamentare ormai di lungo corso nei banchi della Lega, non lo sapesse quando ha redarguito il capo dello Stato, chiedendone addirittura la testa, perché «il 2 giugno è la festa della sovranità italiana, se il presidente pensa che lo sia dell’Europa per coerenza dovrebbe dimettersi»? Possibile che, tra un grillo fritto e un ponte di panna montata, non lo sapesse Salvini, che ha difeso la stessa posizione di Borghi, limitandosi solo a ritirare la (campata in aria nella forma e nella sostanza, perché irricevibile pure in punta di diritto) richiesta di dimissioni di Sergio Mattarella? Possibile che ignori l’articolo 11 della Costituzione anche Giorgia Meloni, la presidente del Consiglio di cui rimbomba il sonoro silenzio, e che si è limitata a lasciar trapelare ai retroscenisti dei quotidiani una telefonata di mezza tirata d’orecchi a Salvini, smentita poi come da copione nel volger del giorno?
Le cronache riferiscono quel che è evidente anche da una semplice osservazione dei fatti, e cioè che il pensiero di Giorgia Meloni sulla Ue in buona sostanza non sia poi così distante da quello di Salvini, tanto che la premier starebbe meditando di ricorrere presso la Corte costituzionale per impugnare la direttiva Ue sui balneari (cosa che le consentirebbe, forse, al massimo di guadagnare un altro po’ di tempo).
Lanciare il sasso e ritirare la mano, come han fatto Borghi e Salvini, oppure come Meloni mettersi alla finestra sostanzialmente condividendo gli attacchi alle altre istituzioni, a cominciare dall’Unione europea, certamente è anche un gioco da campagna elettorale. Ma è un gioco che tradisce il bisogno di tenersi stretto lo zoccolo duro del proprio elettorato, ovvero come palesare di temere di perderle, quelle elezioni.
Giorgia Meloni è a Palazzo Chigi, e di lì non può deludere la sua costituency ricordando l’importanza per l’Italia della costruzione europea - come avrebbe dovuto fare con una nota ufficiale della presidenza del Consiglio, dopo l’improvvida sortita del suo vicepremier contro il capo dello Stato: il suo elettorato non capirebbe. Peggio: rischierebbe di cedere percentuali al suo miglior competitore nelle urne, che è proprio Matteo Salvini.
Ma quello di Meloni non è un semplice non possumus, non è una condizione necessitata: è una scelta politica precisa. La condizione necessitata sarebbe semmai quella di rappresentare da Palazzo Chigi tutti gli italiani come fa Sergio Mattarella dal Quirinale - che l’Europa in larghissima misura se la vogliono tener stretta, e non solo il proprio 26 e rotti per cento d’elettorato.
L’ultimo sondaggio di Eurobarometro, di pochi giorni fa, per esempio racconta che il 50 per cento dei cittadini italiani ( dato superiore alla media Ue) ha fiducia nelle istituzioni europee: nel governo di Roma confida solo il 31 per cento dei cittadini.
Ma il gioco non è solo rivelatore di grandi aspettative che si teme di veder sfumare. È anche rischioso. Al di là dei sondaggi su come andranno i partiti alle Europee di sabato e domenica prossimi, con Fratelli d’Italia e Lega in calo - tanto che Meloni va ripetendo che comunque vada, tra urne europee e riforma costituzionale «comunque io non me ne vado» - attaccare un capo dello Stato con il profilo di Sergio Mattarella è quantomeno rischioso. O peggio: controproducente.
Perché mentre Meloni e Salvini lavorano a quanto pare con l’unico obiettivo di tenersi stretto il proprio zoccolo duro ( a questo serve anche mettere in lista per la Lega un candidato come il generale Vannacci), il gradimento di Mattarella è altissimo: dice di aver fiducia in lui il 73 per cento dei cittadini, 3 italiani su 4, secondo l’ultima rilevazione Demos. Ed è, secondo l’ultimo sondaggio di Demopolis, trasversale. Mattarella è ben visto, certo, dall’ 80 per cento degli elettori di centrosinistra, ma anche del 51 per centro di quelli del centrodestra, e del 30 tra chi si colloca proprio a destra. Un sostegno cresciuto nel tempo, e particolarmente negli ultimi tempi.
Chissà, forse anche perché quando altri fanno a gara - e pure con molta fantasia per dividere la Nazione, l’effetto collaterale è poi mettere in risalto chi invece il Paese lo unisce. Che è poi esattamente il mandato istituzionale dell’inquilino del Quirinale. Certo, unire il Paese potrebbe e dovrebbe essere la semplice postura anche di chi ricopre altre cariche istituzionali, pur non avendo il compito costituzionale di rappresentare l’unità dell’Italia…