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Pronti e via: il Ponte sullo Stretto di Messina, «una sfida in positivo» capace «di generare centomila posti di lavoro» e riaprire per l'Italia «la dimensione del futuro» dopo decenni di «politica rannicchiata». A seguire - questione di ore, di fatto in tempo reale - la legge di Stabilità peraltro abbondantemente annunciata di fronte alle telecamere Mediaset di Del Debbio: più soldi ai pensionati e ritocchi all'ingiù ad un paio di imposte, in una speciale riedizione degli 80 euro però con platea diversa. In realtà ci sarebbe qualche residuo problema con i vincoli interni di bilancio e i paletti della Ue: pazienza, anzi l'Europa matrigna e sparagnina val bene più di uno strale.Insomma neanche quarantott'ore passate dalla fissazione ufficiale da parte del Consiglio dei ministri della data di svolgimento del referendum costituzionale e Matteo Renzi - forse memore del fatto che chi colpisce prima colpisce due volte - piazza un uno-due di quelli che tolgono il fiato. Agli oppositori, of course. Colpi che servono a riproporre alla grande l'immagine ultimamente un po' sbiadita del premier capace di arrivare laddove nessun altro prima era riuscito, rinnovando il fin troppo consunto abito istituzionale del Paese e rilanciando gli investimenti pubblici che significano crescita, che vuol dire sviluppo, che produce occupazione eccetera eccetera. Tutto logico, tutto "normale". Se poi ciò che luccica non è propriamente oro, ci sarà tempo per verificarlo.E allora? Allora il brillìo minaccia di essere dopato non tanto e non solo da impegni, come quello del Ponte, che periodicamentevengono presi, rinnegati, ripresi e rinnegati di nuovo. Quanto per il fatto che sul panorama politico complessivo è stata piazzata una lente distorsiva che si chiama referendum costituzionale, ossia l'appuntamento politico più importante della legislatura.Come detto, il governo ha fissato al 4 dicembre l'appuntamnento con le urne. Vuol dire una settantina di giorni di campagna elettorale che, considerata la posta in palio, diventerà via via più incandescente con un presidente del Consiglio sempre più attivo non solo mediaticamente, e troverà l'esercito dei suoi avversari deciso a sbarrargli continuamente la strada. Se poi ci mettiamo che quella stessa campagna è cominciata da prima dell'estate, diciamo da giugno, allora il risultato è che l'Italia, alla faccia della tanto sbandierata necessità di stabilità, per oltre sei mesi è e resterà impegnata in un confronto politico avvelenato e condizionato da una scadenza decisiva. Non esattamente lo scenario più vantaggioso per un Paese perennemente sotto esame come l'Italia, visto che la campagna elettorale non è il proscenio più idoneo per un confronto costruttivo tra forze politiche impegnate, al contrario, a combattersi per prevalere l'una sull'altra.Un pericolo che a parole tutti vogliono allontanare esorcizzandolo, ma che al contrario incombe. L'effetto distorsivo si allarga con onde crescenti. Il risultato è che da adesso al 4 dicembre ogni atto del governo e dei partner di maggioranza e ogni contromossa delle opposizioni, da Grillo a Berlusconi fino a Sinistra Italiana, verrà letto e valutato in chiave preelettorale, con un vizio di strumentalità e opportunismo inestirpabile.Così il dibattito sulle modifiche alla Costituzione, che per definizione dovrebbe essere sottratto alle beghe della polemica partitica spicciola e concentrarsi sui contenuti, si trasforma in un campo di battaglia dove ogni colpo diventa lecito. Idem per la legge di Stabilità: invece che avviare un circuito virtuoso per concorrere con idee e proposte finalizzate a spendere al meglio le poche risorse disponibili, è pacifico che il percorso parlamentare del provvedimento si trasformerà in un Vietnam che il governo immagina di sminare a colpi di fiducia che però, in un circolo che invece che virtuoso diventa perverso, alimenteranno gli strali delle minoranze. Un polverone conflittuale che impedisce ai cittadini di farsi un'opinione e men che mai di capire come stanno davvero le cose.Dunque come era ampiamente prevedibile, la "personalizzazione" del referendum prima evocata, poi alacremente ricercata da Renzi convinto di guidare un simil-plebiscito e alla fine repentinamente rinfoderata perché l'umore popolare stava cambiando, si prende la rinvincita. Alla fine il quesito - peraltro finito nel tritacarne polemico per la sua formulazione sulle schede elettorali - riguarderà la decisione di lasciare o meno al suo posto il presidente del Consiglio. Altro che Costituzione, Stabilità, immigrazione o Europa. O meglio sarà tutto questo mischiato: ma con un unico bersaglio. Come maliconicamente succede nei Luna Park.