La quarta sponda d’Italia, di mussoliniana memoria, era la Libia, colonia fin dal 1912. Il Mediterraneo deve essersi ristretto, e di tanto, se la quarta sponda è oggi la Calabria. Sbarcano qui per un posto al sole. I politici, adesso. Non molto tempo fa abbiamo subito le candidature di Scilipoti, regolarmente eletto, e di Rosy Bindi che tutte le regioni scansavano e che da noi trovò braccia aperte ad accoglierla, salvo poi accorgersi di un po’ di razzismo strisciante nei nostri confronti, ’ ndranghetisti in larga misura, tranne, naturalmente, quanti votarono lei nelle primarie a Reggio e nelle politiche successive. Di commissari d’oltre Pollino ne arrivano a bizzeffe, specialmente nel settore sanità, e poco importa che si continui a essere buon ultimi nonostante loro – è di questi giorni la maglia nera nelle vaccinazioni effettuate, da indurre il pensiero che mediocrità da posti a cassetta ne avremmo reperito anche quaggiù.

Ecco ora la novità di De Magistris che si autocandida a governatore della Calabria. Cioè, chiude da sindaco a Napoli e ha fretta di una nuova poltrona imbottita su cui affondare il deretano. E già compaiano gli Ascari che lo accolgono giubilanti al Messia. Lo accolgono Messia nonostante il suo passato da sostituto procuratore della Repubblica a Catanzaro, quando fu magistrato inquirente di dubbia efficacia, meno anzi, visti i risultati processuali delle indagini. Si propone perché convinto d’aver brillato, forse ritenendosi risuscitato dall’operazione Rinascita Scott che, a suo ponderare, affronta ciò che al tempo venne impedito a lui. E sbaglia due volte. La prima, perché le sentenze si rispettano e quelle che riguardarono certe sue inchieste furono delle Caporetto senza eguali. La seconda, perché il processo Rinascita Scott, che ne dovrebbe riabilitare le azioni, ha scricchiolato, e parecchio, fin dall’inizio, e parte quindi con i piedi d’argilla nonostante il cancan mediatico – la pubblicità, si sa, è l’anima del commercio, ma non garantisce che la merce non sia avariata. Il “nostro” si propone per la convinzione che ormai caratterizza i magistrati microfonati d’Italia, siano ex o in attività: toccherebbe alla loro immacolata lucentezza dettare l’agenda della nazione, avrebbero titolo a essere prezzemolo d’ogni minestra e, in una terra qual è la Calabria, funestata dalla ’ ndrangheta e dove un’incriminazione non si nega a nessuno, occorrerebbero più del pane, in quanto uomini dei poteri forti, e invece da rigettare proprio perché tali, essendo talmente abituati a sguazzare dentro le carte sporche di delitti da aver perso di vista la realtà e da riconoscere il losco anche nell’innocenza da beatificare. De Magistris non avrà successo. Otterrà la candidatura, grazie ai nostri reparti cammellati del battaglione coloniale – un modo nobile di definire gli Ascari. Ma avrà percentuali risibili, perché, dopo i prodi fustigatori fatti transitare da qui, un minimo di orgoglio è comparso, in accompagno agli attributi gonfi per i mestieranti della politica che non si arrendono e continuano a proporsi, quando di mezze figure ne avremmo di nostre, senza doverle importare.

Ebbene, ai poltronieri opponiamo che la Calabria non è meretrice da utilizzare per le proprie comodità e non avverte la necessità né di sceriffi né di eterni candidati che hanno fatto boc- ca buona al piedistallo. Anzi, suggerisce loro un’altra via, che sarà triste per le aspirazioni, ma che c’è: andare a lavorare.

Intanto, però, non si registrano prese di posizione dei politici locali. Non è novità. Al solito, piuttosto che indignarsi a sparare a zero per l’ulteriore offesa a un intero popolo, stanno a guardare gli sviluppi, per potersi posizionare meglio sui blocchi di partenza. Del resto, non c’era da aspettarsi granché, se rimangono muti persino sulla Moratti, a dir poco infelice nella richiesta al commissario Arcuri di anticipare il vaccino alle popolazioni più ricche, in perfetta sintonia con l’antico detto che “il sazio non riconosce il digiuno”.