Nell’elenco dei 17 obiettivi che le Nazioni Unite si pongono di qui al 2030 la questione delle migrazioni non c’è: è un tema sospeso, un sottotraccia dell’interconnessione di tutti gli obiettivi per lo “Sviluppo sostenibile”. Ma ne parlerà esplicitamente oggi, all’Assemblea Generale che si tiene a New York, la presidente del Consiglio italiano. Appena sbarcata sul suolo americano, Giorgia Meloni ha già detto che si tratta di «un problema globale». Ed è la pura, semplice e anche banale realtà. Si potrebbe aggiungere anche che, per quanto causa e insieme effetto emergenziale, si tratta di un fenomeno non certo nuovo: le migrazioni hanno letteralmente fatto la Storia, e definito patrimoni genetici e culturali delle varie popolazioni che più o meno dal Settecento a questa parte definiamo “nazioni”.

Dunque, almeno di fronte a un palcoscenico planetario qual è quello dell’Onu, si riconosce che il problema non è solo europeo, ma globale. Di europeo resta l’emergenza da fronteggiare, come sappiamo: la realtà dell’ondata migratoria in atto, che vede l’Italia al fronte, e gli altri Paesi dell’Unione nelle retrovie, col complesso e per lo più disatteso accordo informale circa la redistribuzione in altri Paesi di chi approda in Italia ( e questo per gli obblighi derivanti dal Trattato di Dublino, perché quando, durante la passata legislatura di Bruxelles, si trattò di ridisegnare quella convenzione proprio le destre oggi al governo in Italia, spalleggiate in sede di Consiglio europeo dai paesi baltici, si opposero).

La Commissione Ue ha un piano in 15 punti che va dal rafforzamento delle difese di mare e cielo contro gli scafisti fino al sostegno finanziario a Paesi come la Tunisia, in buona sostanza affinché blocchino i migranti provenienti dal Sahel e dall’Africa profonda. Il piano piace molto a Giorgia Meloni, ma anche ai socialdemocratici e ai liberali al governo a Berlino: il Cancelliere Scholz, accusando l’Italia di non essersi ripresa 12mila migranti previsti dagli accordi ( non vincolanti) sui ricollocamenti, ha ricordato che la Germania negli ultimi anni ne ha accolti ben 3 milioni, compreso il milione e 200mila siriani ai quali a suo tempo spalancò le porte Angela Merkel. Quello che Scholz non ha aggiunto, però, è che il Parlamento tedesco ha appena varato una legge sull’ “immigrazione qualificata” che velocizza l’accoglienza delle professionalità di cui il Paese ha bisogno. Perché la forza di un Paese ( anzi: di una nazione) è la sua forza lavoro, e mentre in Italia Confindustria continua a chiedere manodopera immigrata, la politica va come sappiamo in direzione opposta.

Quello di von der Leyen e Meloni è stato definito dalla politologa Nadia Urbinati come una nuova forma di «nazionalismo europeo», dove l’uso del sostantivo «nazionalismo» definisce un crinale fortemente critico: politiche di destra, nonostante non siano di destra i trascorsi di von der Leyen, che glissano sui valori democratici fondativi dell’Unione. Ma ci pare non sia neppure così.

Perché le politiche - i famosi 15 punti del Piano migrazioni della Commissione - con cui si vorrebbe fronteggiare un fenomeno epocale se non altro nelle dimensioni, sono sempre le stesse. Cosa erano, se non controllo ( presunto) delle frontiere marittime e terrestri, le fallimentari missioni Sophia e Frontex? A cosa sono serviti i miliardi, che ormai arrivano a una decina, all’autocrate Erdogan perché tenesse i migranti nei campi profughi della sua Turchia? E a cosa serve oggi il “Piano Mattei”, del quale mai sono state chiarite le linee, per la nuova frontiera emergenziale, la Tunisia? A Tunisi, negli ultimi 10 anni, sono stati erogati circa 180 milioni di euro dalla Ue, e una cinquantina dall’Italia. Nel frattempo, quella che era una democrazia ( dopo la “rivoluzione dei gelsomini” e la caduta dell’autocrate Ben Ali) è diventata una dittatura: Saied ha sospeso ogni garanzia di legge e riscritto a sua misura la Costituzione. In Tunisia oggi si tortura, anche e soprattutto i migranti, come in Libia. E inutilmente von der Leyen e Meloni, con ben due viaggi a Tunisi, hanno cercato di legare il sostegno finanziario che potrebbe essere erogato dall’Fmi al ripristino di una soglia democratica minima: Saied ritiene di essere padrone a casa propria.

Dunque, come tutti i nazionalismi, anche il “nazionalismo europeo” avrà corto respiro. Come per quasi tutto e anche per il problema delle migrazioni, non si tratta di attuare politiche: si tratta di avere una politica. Le politiche di cooperazione, più o meno rafforzate, esistono già. Per condizionare la politica di altri Stati e di altri governi, specie di fronte a problemi complessi ed epocali quali sono sempre stati quelli migratori, non basta il denaro. Serve autorevolezza. Non bastano le richieste e le garanzie di questo o quel leader politico di turno: occorre credibilità ed identità. Se la sfida delle migrazioni è europea, come dice la presidente von der Leyen, l’Unione deve dotarsi per affrontarla di una vera politica estera comune. Meglio ancora: di una politica estera e di difesa comune.

Esattamente come per le economie e la crescita, che sta nel Trattato di Nizza all’articolo fondante dell’Unione. Le sfide e le complessità dei tempi in cui viviamo non consentono più un’Unione di Paesi in ordine sparso che cercano convergenze in sfiancanti, tumultuosi e spesso infruttuosi vertici di capi di Stato e di Governo. O si continuerà a cercare di tappare di volta una falla, spesso non riuscendo nemmeno in quello. Come nel caso delle migrazioni, e della nuova frontiera tunisina.