«Culturalmente subalterne e politicamente scorrette», così il ministro Luca Lotti ha definito le forze politiche che hanno chiesto la sua sfiducia, a partire dal Movimento 5 Stelle. Un tentativo a vuoto, in un’Aula gremita durante il dibattito e vuota durante la votazione perchè molti gruppi parlamentari hanno deciso di non rispondere alla chiama, terminata con 161 voti contro e 52 a favore, che blindano lo scranno del ministro. Lotti, circondato da quasi tutti i ministri del governo Gentiloni, ha parlato pochi minuti in un intervento tutto all’attacco: «Va respinta la voglia di trasformare quest’Aula in una gogna mediatica», e ancora «questo è un tentativo di colpire non me, ma quello che io nel mio piccolo rappresento: si vuole mettere in discussione lo sforzo progressista di questi anni». Nelle quattro pagine lette al termine delle due ore di dibattito, Lotti ha dedicato un solo passaggio all’inchiesta Consip, nella quale è indagato per rivelazione del segreto d’ufficio: «Non ho mai avvisato Marroni, nè ho passato informazioni riservate, chi sostiene il contrario dice una bugia». Nulla di più, nulla di meno. Poche battute per rispondere al durissimo intervento della senatrice 5 Stelle Paola Taverna, che ha spiegato i termini della mozione di sfiducia presentata dai grillini e teorizzato «un vero e proprio “sistema Renzi”: al centro di questa storia c’è Romeo che ha finanziato legalmente un po’ tutti, ma il nome di Lotti lo fanno due del “giglio tragico”. Qui si sta difendendo non solo un ministro, si sta blindando il fedelissimo di Renzi». Per la senatrice, infatti, «Il tema non è l’avviso di garanzia ma la gravità delle accuse, e per capirlo non abbiamo bisogno di aspettare le sentenze della magistratura: un principio che noi abbiamo fatto nostro nel Codice etico del Movimento». Parole pesanti, che hanno suscitato proteste dai manchi del Pd e bollate come «argomentazioni vouyeristiche» dal senatore di Ala, Ciro Falanga, che ha sbottato: «Siamo in un’aula del Parlamento, non di giustizia e questo è un caso fondato sulla violazione del segreto istruttorio, diventato ormai il segreto di pulcinella: qui è in gioco l’equilibrio tra poteri dello Stato». La parola che ha fatto da filo conduttore a tutti gli interventi, però, è stata «garantismo». Evocato da Gaetano Quagliariello di Area popolare come un «principio che vale sempre, per ogni ministro, e non subordinato alle convenienze del momento», ma anche da Miguel Gotor di “Articolo 1 - Movimento democratici progressisti” (gruppo che ha presentato una autonoma mozione per sospendere le deleghe a Lotti) particolarmente aspro nei confronti del suo ex compagno di partito. «Quello del Pd è un garantismo alla carta, una mera condotta opportunistica da utilizzare solo nel caso di amici potenti e compagni di partito», ha attaccato Gotor, ricordando che i ministri De Girolamo, Lupi e Guidi furono «costretti a dimettersi senza essere stati indagati, su richiesta di Renzi per ragioni di stile e opportunità». Ancora diversa la posizione del senatore di Forza Italia, Maurizio Gasparri, che ha evocato il suo passato recente: «Anche io sono stato indagato per le stesse ragioni dallo stesso pm, Woodcock, tutto si conclude in un nulla. Noi siamo garantisti da sempre pure se avremmo forse meno ragioni per esserlo, visto il trattamento ricevuto da Silvio Berlusconi, ma voi avete commesso errori di presunzione». A difendere la posizione del ministro, dai banchi della maggioranza del Partito Democratico, è intervenuto il conterraneo Andrea Marcucci, che ha stigmatizzato la «furia giustizialista» dei 5 Stelle, perchè «un avviso di garanzia non può diventare una gogna mediatica e politica. Noi voteremo no contro questa strumentale mozione di sfiducia voluta da Beppe Grillo e dal suo blog». Al termine di una seduta incandescente, tuttavia, la novità di giornata non è il già anticipato salvataggio di Lotti, ma la formazione di un inedito fronte di Movimento 5 Stelle, Lega Nord e Sinistra Italiana.