Guerra alle Ong, finanziamenti alla Tunisia, missione navale a largo delle coste nordafricane. Nonostante fino ad oggi non abbia prodotto risultati di qualche tipo, la strategia di Giorgia Meloni in materia di immigrazione non cambia. Neppure all’indomani dello scontro con la Germania sul Patto per l’asilo - relativo alle proposte tedesche sulle tutele per i migranti e sull'esclusione dei salvataggi delle Ong dalle situazioni di strumentalizzazione della migrazione - il governo retrocede di un passo. La ricetta Meloni resta sempre la stessa, condivisa con Polonia e Ungheria.

La premier vola fino a Malta per ribadirla al vertice Euro-Med9 ( il gruppo informale che raccoglie Italia Francia, Spagna, Portogallo, Grecia, Cipro, Malta, Slovenia e Croazia). E dopo un trilaterale con Emmanuel Macron e Ursula von der Leyen a margine dell’incontro, Meloni torna sugli attriti con Berlino che hanno fatto saltare il tavolo del nuovo Patto: «Ho avuto degli scambi con il cancelliere Scholz nella giornata di ieri su questa materia aperta del patto di migrazione e asilo. Per noi la redistribuzione non è mai stata la priorità, per me il problema non si risolverà mai completamente se ogni Paese pensa di scaricarlo su un altro». L’unico modo che la presidente del Consiglio concepisce per venire a capo del fenomeno è lavorare sulle frontiere esterne, trovare un modo per bloccare le partenze. La riforma del Trattato di Dublino sulla redistribuzione dei migranti non è neanche lontanamente una priorità del governo. E sulle posizioni tedesche in merito alle Ong la leader dei Conservatori europei mette in chiaro: «La Germania è arrivata con alcuni emendamenti, uno in particolare che per noi rappresenta un passo indietro sul tema delle organizzazioni non governative, e abbiamo chiesto di avere tempo, perché non si poteva decidere ieri così». E in assenza di un compromesso l’Italia proporrà un altro emendamento per chiedere di considerare responsabile dell’accoglienza il Paese di «bandiera della nave dell’Ong». Perché «capisco le posizioni degli altri ma non si può fare la solidarietà con i confini degli altri».

Ma quanto pesano davvero i salvataggi delle Ong sugli arrivi in Italia di profughi sani e salvi? Secondo i dati del ministero dell’Interno, quello guidato da Matteo Piantedosi, solo il 4 per cento dei migranti è arrivato sul nostro territorio, nel 2023, a bordo di una nave armata da un’organizzazione non governativa. La maggior parte delle persone in fuga dalle coste tunisine, il 68 per cento, è entrato in Italia grazie ai salvataggi operati da Guardia costiera e Frontex. Il resto, il 28 per cento, è sbarcato a bordo di imbarcazioni proprie. Ed è proprio alla luce di questi numeri che sembra complicato comprendere le motivazioni concrete di tanto accanimento italiano. Meloni è comunque sicure che sulle Ong i Paesi dell’Euro Med 9 hanno una posizione decisa sulla distinzione del lavoro che fanno alcune di esse, ma non specifica quale.

Per il nostro governo l’unica soluzione è l’allestimento di una missione navale nel Mediterraneo da attuare in accordo con le autorità del Nord Africa. «La terza parte della missione Sophia non fu mai attuata perché la prima parte era un pull factor e fu annullata», spiega Meloni. «Da parte dell’Europa c’è una disponibilità a lavorare su pattugliamenti congiunti, e questo è il tema» ma «per farlo in maniera efficace va fatto diciamo in modo diverso da come è stato fatto finora».

E in attesa di mettere in piedi una nuova missione, sulle cui regole d’ingaggio nessuno è in grado di dire una parola, la ricetta italiana resta una: finanziare la Tunisia di Saied per fermare le partenze. «C’è da riprendere il nostro partenariato con la Tunisia che sta dando segnali confortanti», insite Meloni, convinta che quello messo in pratica con Saied sia un modello da esportare.