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MASSIMILIANO ROMEO SEGRETARIO LEGA LOMBARDA MATTEO SALVINI SEGRETARIO FEDERALE LEGA
Non è una semplice scaramuccia, ma una questione che potrebbe sfociare in una crisi interna dai contorni indefinibili. La decisione — o presunta tale — di Matteo Salvini di consegnare la Lombardia a Fratelli d’Italia in cambio della conferma di un candidato del Carroccio in Veneto ha scatenato un terremoto tra i leghisti lombardi, che parlano apertamente di “resa” e minacciano la ribellione. Da Milano a Brescia, da Varese a Bergamo, il partito del Nord si sente in un certo modo defraudato della sua terra simbolo, quella dove tutto è cominciato.
«Quando arriverà il 2028 sceglieremo insieme il candidato migliore. Ma lo ripeto: sarà un candidato della Lega», ha detto il capogruppo al Senato e segretario lombardo Massimiliano Romeo, provando a frenare l’ondata di sdegno che monta nella base. «La Lombardia non è una pedina da muovere sullo stesso tavolo del Veneto. Questo è un ragionamento sbagliato nel metodo e nel merito».
Parole che suonano come un avvertimento diretto al leader, colpevole — secondo i “lumbard” duri e puri — di aver barattato il cuore della Lega con un accordo di vertice per tenere in vita la coalizione.
L’accordo è quello sancito ieri dai leader nazionali: Fratelli d’Italia rinuncia al Veneto, dove correrà il leghista Alberto Stefani, ma “prenota” la Lombardia per un proprio candidato. Un equilibrio di potere che Giorgia Meloni ha presentato come il segno della maturità del centrodestra, ma che nei fatti ridisegna la mappa dell’egemonia interna. «Non vedo niente di scandaloso nel principio che il partito più rappresentativo della coalizione possa indicare il candidato presidente», ha replicato con tono glaciale Carlo Maccari, coordinatore regionale di Fratelli d’Italia in Lombardia. «È un criterio di buon senso e di democrazia. Non credo che il segretario della Lega in Lombardia vorrà smentire quanto deciso dai leader nazionali».
Parole che hanno avuto l’effetto di una miccia. «La Lombardia è dove è nata la Lega — ha ribattuto Romeo — se dovessimo perderla, rischieremmo di perderci noi. Non è una questione di voti, ma di radici». Il senatore leghista ha poi ammonito la premier: «Meloni sa bene che la Lega è un alleato fondamentale, se vuole rafforzare la sua maggioranza deve tenerne conto. Non può permettersi di indebolire un alleato».
Sul fronte meloniano, la linea è opposta: chi ha i numeri decide. «Saremo alleati leali e responsabili, ma è naturale che in Lombardia indicheremo noi», ha insistito Maccari, che invita a «concentrarsi sul lavoro con il presidente Fontana» e non su «discussioni premature». Una formula di cortesia che non nasconde l’intenzione di Fratelli d’Italia di aprire un ciclo nuovo, mettendo la bandiera sul simbolo stesso del potere leghista.
Dentro la Lega il malumore è palpabile. La corrente del Nord, quella dei governatori e degli amministratori storici, vede nella “consegna” della Lombardia una resa politica e culturale.
«La Lombardia vale più di qualche ministero romano», ha sbottato ancora Romeo. Salvini, dopo l'excusatio non petita con cui poco dopo la fine del vertice del centrodestra di mercoledì diramava una postilla in cui teneva a specificare che la questione Veneto non era legata a quella della Lombardia lascia filtrare messaggi di calma ma corrono voci di contatti concitati con i presidenti di provincia e con Attilio Fontana, a sua volta irritato con la dirigenza federale.
L’ipotesi di un ricambio pilotato da Palazzo Chigi, magari con un candidato civico vicino a Fratelli d’Italia, è vista come fumo negli occhi. E' evidente che Meloni punti ora a piantare la bandiera di FdI nel Nord produttivo, per dare al partito un radicamento territoriale che finora gli è mancato. Ma la risposta della Lega lombarda mostra che il disegno potrebbe non essere così lineare. La sensazione, a via Bellerio, è che il segretario abbia sottovalutato la reazione. «Chiediamo che venga rispettato ciò che è nostro», ribadiscono i dirigenti locali, mentre gli alleati di Forza Italia osservano con prudenza, sperando di trarre qualche vantaggio dalla frattura.