«Ma com’è possibile che, dopo tutte le dichiarazioni fatte dal ministro, gli unici provvedimenti presi finora sono aumenti di pena, nuovi reati e un allargamento del perimetro delle intercettazioni? Erano solo dichiarazioni spot?». C’è sconcerto in Forza Italia per le contraddizioni del ministro della Giustizia Carlo Nordio, che ieri, in un’intervista alla Stampa, ha dichiarato di non essere né garantista né giustizialista. Dichiarazioni, le sue, che hanno fatto saltare sulla sedia uno dei più grandi sostenitori, il deputato di Azione Enrico Costa, che ha accostato le parole del Guardasigilli a quelle dell’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che tre anni fa aveva definito quelle tra le due prassi «contrapposizioni manichee». Per Nordio, chiamato a fare i conti con provvedimenti che smentiscono le sue dichiarazioni programmatiche, i suoi libri e i suoi editoriali, esiste solo «la complessità della realtà», che forse, molto più semplicemente, è il confronto tra la teoria e la pratica, dove la pratica non è più quella delle aule di giustizia - dove poteva contare sulla propria indipendenza di magistrato -, ma l’arena politica, dove tocca fare i conti con il mandato popolare e, soprattutto, con le regole d’ingaggio. E a scrivere le regole è Giorgia Meloni, una scesa in politica nel nome di Paolo Borsellino, come ama ricordare ad ogni polemica sollevata dalla magistratura, che finora è riuscita a far raddrizzare il tiro alla premier ogni volta che ha potuto. E in questo braccio di ferro a rimanere schiacciato è proprio Nordio, costretto a fare passi indietro per rimanere fedele a Meloni, con la quale ribadisce ad ogni occasione la «piena sintonia». Così, se è vero che «inasprire le pene e creare nuovi reati non serve a nulla», come affermava nel suo libro “Giustizia”, ciò non toglie che si possa agire proprio in tal senso per dare un segnale «politico», come dichiarò mesi fa a “Che tempo che fa” dopo aver messo la firma sul tanto discusso decreto Cutro. Ciò perché, aveva spiegato, nonostante «il segnale della legge penale» non abbia «un significato di deterrenza», ciò che arriva è «un segnale politico». Un segnale rivolto all’elettorato - «serve a dimostrare che siamo attenti a questo fenomeno», in quel caso l’immigrazione clandestina -, dunque, e che a gestire il fenomeno serve poco. Come dimostrato dai dati sconcertanti degli ultimi tempi: durante il governo Meloni gli sbarchi sono triplicati. L’ultima contraddizione risale a pochi giorni fa, quando con un decreto legge il governo ha ampliato le possibilità di fare intercettazioni telefoniche e ambientali, rendendo la norma applicabile anche ai procedimenti in corso, per sanare il vulnus segnalato da molte toghe a seguito di una sentenza di Cassazione. Un intervento annunciato in occasione della commemorazione della strage di via D’Amelio, quello di Meloni, costretta, allora, a “zittire” Nordio, che l’aveva messa in imbarazzo dichiarando ciò che in realtà ha sempre dichiarato, ovvero che il concorso esterno è «un ossimoro». Ieri, dunque, la premier ha rivendicato il decreto e il suo impegno «nella lotta alla mafia», ha dichiarato sui social.

A manifestare sconcerto è stata, in primis, l’Unione delle Camere penali, da sempre strenua sostenitrice di Nordio, che in un documento ha evidenziato come via Arenula faccia «oramai sistematicamente seguire alle condivisibili dichiarazioni garantiste del ministro, disegni, atti e proposte che vanno in altra direzione». Misure «irragionevoli, inutilmente punitive, assunte proprio mentre si chiede all’avvocatura di utilizzare i soli strumenti informatici per procedere al deposito degli atti difensivi». Ma a dirsi perplessa è soprattutto Forza Italia, l’unica forza di governo a portare avanti il programma annunciato dal ministro al suo insediamento. Uno sconcerto emerso nel segreto delle chat, dove deputati e senatori hanno mugugnato per il taglio giustizialista dei provvedimenti del primo anno di governo, mentre in pubblico l’ordine è quello di difendere il difendibile. «Quando si tratta di mafia, Forza Italia non può che essere del tutto intransigente», ha dichiarato a Rainews 24 il senatore Pierantonio Zanettin. Che però, «da giurista», non ha potuto fare a meno di dirsi perplesso per il «metodo», ossia per la scelta «di intervenire con un decreto legge per sanare un contrasto giurisprudenziale». Un «precedente pericoloso», fanno sapere da FI, che ora punta tutto sulla possibilità di portare a casa l’abrogazione dell’abuso d'ufficio. «Siamo convinti che si debba abolire - ha aggiunto Zanettin -, perché è una spada di Damocle sulla testa di migliaia di amministratori e nella sostanza è un reato che non porta a condanne». Il punto di caduta, dunque, è proprio il ddl Nordio, già a rischio, secondo quanto trapelato, dati i timori di FdI di scontentare il proprio elettorato. Ma Forza Italia è pronta ad andare fino in fondo. «Ci aspettiamo molto da questo ddl - fa sapere un forzista di primo piano - e siamo pronti a migliorarlo in chiave garantista». Ma sono le intercettazioni a preoccupare, soprattutto alla luce dell’indagine conoscitiva già svolta in Senato, dove tra l’altro la posizione di Fratelli d’Italia era apparsa molto più orientata al rispetto delle garanzie. Una posizione espressa da Sergio Rastrelli il 12 luglio scorso, lo stesso giorno in cui Nordio pronunciò le parole tanto contestate sul concorso esterno. «Nonostante la riforma del 2017 abbia rafforzato il sistema delle garanzie a tutela della riservatezza delle intercettazioni - aveva dichiarato il senatore di FdI - permangono ancora abusi, che devono essere eliminati a tutela di libertà fondamentali dei cittadini. Anticipando in questa sede la posizione del Gruppo di Fratelli d'Italia», aveva evidenziato, se è necessario proteggere lo strumento delle intercettazioni, «a garanzia della lotta contro la criminalità», in relazione «alla procedura prevista dal codice di rito sulle intercettazioni, ritengo non utile allargare la base dei reati per i quali esse sono previste, anzi il medesimo catalogo, come sottolineato anche da molti auditi, andrebbe accuratamente rivisto per eliminare fattispecie di reato di carattere più marginale». Eliminando, inoltre, il fenomeno delle intercettazioni a strascico. Insomma, tutto il contrario di quanto deciso pochi giorni fa in Consiglio dei ministri. La sensazione, ancora una volta, è che la postura panpenalista del partito di maggioranza freni il ministro, al quale però rimangono ancora alcune partite aperte: dalla separazione delle carriere - sostenuta anche da una parte della magistratura - all'inappellabilità delle sentenze. Fronti sui quali il Nordio politico potrebbe rispolverare il Nordio editorialista, lo stesso che aveva scritto quelle dichiarazioni programmatiche finora rimaste lettera morta.