Una smentita che suona come una conferma? A ridare ritmo alla girandola di nomi che già circolano come possibili sostituti di Matteo Renzi alla guida di un governo di scopo, in caso di vittoria del no al referendum, ieri ci si è messa anche l’interpretazione maliziosa di un’intervista di Pier Luigi Bersani. «Nessuno vuole che Renzi lasci, il governo non rischia», ha detto l’ex segretario del Pd, padre nobile della minoranza interna, all’autorevole settimanale tedesco Die Zeit. Ma la rassicurazione stride con il nuovo attacco al renzismo accusato di «disarmare in modo ideale e culturale la sinistra con la speranza di prendere voti da altre parti della società». Quei voti appunto che a Roma o a Torino non sono poi arrivati. Ma soprattutto l’uscita di Bersani ha oggettivamente rimesso sotto i riflettori della ribalta europea e internazionale il fatto che in Italia un problema sul destino del governo c’è.Matteo Renzi resisterà fino alla fine e non è detta che non la spunti anche stavolta, seppur indebolito. Ma intanto, i nomi di possibili sostituti per un governo a termine che modifichi almeno l’Italicum per poi andare a votare, circolano e non sono solo un esercizio giornalistico. Così riassume, sotto anonimato, a Il Dubbio la situazione di avvitamento nella quale versa il governo, un autorevole esponente del Pd, di fede renziana: «Stiamo giocando una partita sul filo, ma proprio sul filo, ora aspettiamo cosa ci dirà Renzi sulla legge elettorale, soprattutto alla direzione, del 23 luglio. Pier Carlo Padoan a dirigere un governo di scopo se vincesse il no? Che possa piacere a D’Alema ci sta. Ma come si può pensare che Berlusconi accetti proprio il ministro dell’Economia di Renzi, dal momento che la politica economica di questo esecutivo è quella più contestata dagli azzurri? ».Il premier ha già lasciato intendere che anche se vincesse il no lui non avrebbe più intenzione di mollare. Ora l’arma che Renzi ha in mano per poter almeno ricompattare tutta la sua maggioranza (dai dissidenti del Pd a Ncd) sono i segnali di apertura sulla modifica dell’Italicum. Ma Forza Italia non ci sente proprio. Spiega una fonte di rango azzurra, ribadendo quanto hanno già detto a chiare lettere i capigruppo Renato Brunetta e Paolo Romani: «Non se ne parla affatto. Berlusconi vuole portare Renzi indebolito all’appuntamento per la modifica della legge, per poter strappare il miglior risultato possibile. Quindi, noi siamo per la vittoria del no, solo su questo siamo concentrati». E anche se Renzi dovesse vincere di strettissima misura il referendum, per Berlusconi quello già sarebbe un segnale di indebolimento del premier sul quale far leva per avere l’introduzione del premio alla coalizione. E in caso si arrivasse a un governo di scopo, chi vorrebbe alla guida Berlusconi? «Di questo non si è proprio ancora parlato. Ma sicuramente una figura molto, ma molto superpartes», sottolinea la fonte. Insomma, non un esponente del Pd, o comunque neppure un autorevole esponente del governo Renzi come Padoan, nonostante abbia tutta l’autorevolezza che serve sulla scena dei mercati internazionale.Dentro Forza Italia da tempo un nome molto gettonato sarebbe quello del governatore della Bce Mario Draghi (indicato a Eurotower dal governo Berlusconi). Ma lo stretto éntourage del Cav ha ben presente che il mandato di “Super-Mario” scade nel 2019. E una figura come la sua non può certo essere spesa per un governo che al massimo duri un anno. Inipotizzabile soprattutto che lo stesso Draghi lasci la Bce per un incarico di questo genere. D’altro canto, in ambienti vicini al capo dello Stato, da sempre si ragionerebbe nel seguente modo: Draghi serve meglio all’Italia stando dove è.Ma intanto, nel Transatlantico di Montecitorio nei capannelli delle varie correnti del Pd, ormai tornate allo scoperto, dopo l’infuocata direzione del 4 luglio scorso, i nomi circolano. È finito sulle cronache anche quello della franceschiniana Federica Mogherini, ora alto rappresentante della politica estera Ue. Ma l’ipotesi non appare almeno per ora delle più probabili. Anche se c’è da dire che Dario Franceschini, ministro dei Beni culturali, ormai la sua corrente la ha ben riorganizzata e la sta facendo pesare. Nella girandola dei nomi spunta anche quello di Piero Fassino, rimasto alla guida dell’Anci, dopo la sconfitta di Torino. E c’è chi fa notare a Il Dubbio che «Piero non ha mai cavalcato l’anti-berlusconismo a prescindere». Tra i papabili per Forza Italia ci sarebbe anche il nome dello stesso Franceschini, amico di Gianni Letta. Comunque sia, dice a Il Dubbio il senatore azzurro Augusto Minzolini, già direttore del Tg1: «Per me queste sono solo chiacchiere così come certi retroscena dove rispuntano patti del Nazareno. Il partito più interessato alla vittoria del no è proprio Forza Italia che così tornerebbe centrale nel quadro politico». Un quadro dove in questo modo si potrebbe insomma riorganizzare una opposizione sistemica di centrodestra contro quella antisistema del M5s. Ma è proprio anche sulla parte meno movimentista dei pentastellati, guidata dal vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, che ora Renzi punterebbe per una vittoria dei sì. Ma, anche dopo la gaffe internazionale di Di Maio con Israele che gli ha negato il viaggio a Gaza (con relativa protesta del big pentastellato) il pericolo è diventato sempre più il mestiere di Renzi. Tanto più se si riprende a parlare di modifiche all’Italicum.