Che lo scontro sul sistema elettorale fosse in realtà una battaglia mediatica per meglio posizionarsi sul Sì o sul No al referendum sulle riforme è stato evidente fin dall'inizio.Era nota a tutti l'impossibilità del parlamento bicamerale di cambiare l'Italicum prima che si sappia chi ha vinto la madre di tutte le battaglie che, piaccia o non piaccia, è e resta il referendum.Ora che lo scontro s'è concluso con la mozione della Camera con la disponibilità renziana al cambio, mozione che non farà un solo passo in avanti, è possibile un primissimo bilancio su chi ha vinto e chi ha perso. La prima osservazione è che Renzi tranquillizza tutti gli autorevoli consiglieri (a partire da Napolitano) che gli avevano chiesto il cambio. La seconda è che l'abbandono delle chiusure precedenti dei renziani si sono trasformate in una crisi importante nell'area delle due minoranze dem (Bersani e Cuperlo) che si trovano a dover spiegare perché votano No al referendum essendo il premier disponibile (sulla carta) a smontare il mitico combinato-composto su cui avevano fondato le loro opposizioni. E infatti le minoranze hanno già preso a distinguersi con un giudizio meno drastico di Cuperlo rispetto a Speranza. Ma la crisi sarà inevitabilmente più grave perché s'è aperta un'autostrada all'egemonia sulle minoranze e sull'area di sinistra del No per D'Alema. E' stato lui il solo a essere netto e chiaro sugli obiettivi: far fuori Renzi per salvare la sinistra. Né s'è mai impelagato nei dettagli della legge elettorale perché tener fermo l'Italicum lo ha aiutato a tener vivo il Teorema del Tiranno (Renzi). Ora per l'ex premier ci sono solo vantaggi: se vince il No sarà lui ad aver guidato uno scontro limpido e non inquinato dal sospetto che sotto ci fosse solo una questione di seggi nel prossimo parlamento come per le altre minoranze dem. Se vince il Sì sarà sempre lui lo stratega di una possibile scissione delle attuali minoranze dem. I renziani hanno calcolato che la crescita dell'egemonia dalemiana sull'area di sinistra del No potrebbe favorirli? Renzi nel passato anche recente ha fatto battute in questa direzione ma non è certo che ci creda veramente e che non si limiti a difendersi.Ma in difficoltà, non ancora misurabili, si trovano anche i grillini nonostante il paradosso di aver contribuito a "sbloccare" la situazione "bloccandola" in direzione della paralisi parlamentare sul sistema elettorale. La proposta del ritorno al proporzionale della Prima Repubblica, che di questo si tratta, è servita al M5s per chiamarsi fuori da una modifica dell'Italicum che resta il vero obiettivo del pentastellati, senza assumersene direttamente la responsabilità. Fi e il centro destra già in precedenza si erano detti non disposti a modifiche prima di conoscere chi vincerà il referendum. Il proporzionale grillino ha chiuso il cerchio. Impossibile toccare l'Italicum prima del referendum e contro tutto il centrodestra e il M5s. Ma l'obiettivo di tener fermo l'Italicum crea tensioni nel M5s e lancia segnali contraddittori e pericolosi (a cominciare dal punto decisivo: si può volere l'Italicum e non votare Sì al referendum dato che il successo del No lo cancellerebbe?). Non è un caso che Il Fatto Quotidiano sia stato costretto a immediate e imbarazzanti giravolte fino a teorizzare che «è la prima volta, nella storia della repubblica, che un partito accantona i propri interessi in modo così clamoroso e smaccato». Il M5s, insomma, avrebbe rinunciato a vincere le elezioni in Italia per svoltare verso una possibile politica delle alleanze (saltato l'Italicum saltano, ed è vero, le possibilità di governo del M5s) o per accontentarsi di diventare un'area consistente sia pure al di fuori dei governi, come il vecchio Pci. Un'analisi che, dimenticando il valore strategico della solitudine del M5s che non si contamina con alcuna casta, spinge i grillini verso l'area della normalità partitica anche a costo, come fa il Fatto, di teorizzare che "piaccia o no" il voto di preferenza non sia poi il diavolo né solo veicolo della corruzione e del voto di scambio.