"La mia esperienza di governo finisce qui". Venticinque minuti dopo la mezzanotte del 5 dicembre, dopo mille giorni di governo, Matteo Renzi lascia. Non di sua volontà. Lo ha cacciato fuori da palazzo Chigi quel 60 per cento di italiani che hanno bocciato la riforma costituzionale sulla quale il premier aveva stampato la sua faccia. È una sorta di voto di fiducia, e il responso non ammette discussioni. Sono andati alle urne un numero impressionante di cittadini, quasi il 70 per cento degli aventi diritto, imprimendo a questo passaggio lo stigma di una pronuncia politica di grande spessore. E questo rende il risultato ancor più significativo. Renzi ha perso in quasi tutte le regioni, gli hanno votato contro sia le parti più avanzate del Paese, quelle economicamente più forti, sia quelle più depresse. L'Italia che nella campagna elettorale si è divisa come mai forse dal dopoguerra, si è ritrovata in grande maggioranza in sintonia nell'affossare la revisione costituzionale voluta dall'esecutivo. E adesso? Adesso tutto diventa più difficile. Il pallino passa nelle mani del presidente della Repubblica, che dovrà prendere atto delle decisioni di Renzi e individuare il sentiero che porta alla soluzione della crisi di governo ufficialmente aperta. La campagna elettorale senza esclusione di colpi lascia un Pese divaricato, che sarà parecchio complicato tentare di riunire. Complicato ma indispensabile. E' ovvio che si andrà a votare per eleggere il nuovo parlamento molto presto. Ma prima bisognerà fare una nuova legge elettorale, perché il trionfo del No si porta appresso anche la cancellazione dell'Italicum, legge elettorale varata in pompa magna è archiviata senza mai essere stata provata. Un altro degli infiniti e perversi ghirigori della politica italiana. Renzi ha detto che tocca ai vincitori, all'accozzaglia come l'ha definita, trovare il bandolo di un nuovo sistema di voto. Sa bene quanto il compito sia impervio, ma è giusto così. Però è impensabile immaginare che il Pd resti estraneo a questo sforzo. Giusto che non abbia l'iniziativa, irresponsabile tirarsi fuori. Sapendo che su tutto incombe la imminente pronuncia della Corte costituzionale. Ecco, il Pd. Tra le macerie del Sì c'è anche il Nazareno. Fortemente lesionato, il Pd resta comunque il pilastro del sistema politico italiano. Chi gestirà, in qualunque ruolo, i prossimi passaggi farebbe bene a ricordarselo.