Lavoro che cambia, il ruolo dei sindacati e limiti del capitalismo italiano. Sono questi i temi su cui Marco Bentivogli e Giuliano Cazzola, ospiti del Dubbio, si sono interrogati. Ex segretario della Fim Cisl e attuale coordinatore di Base Italia il primo, docente di Diritto del lavoro con un lungo trascorso in Cgil ( che non deve ingannare) il secondo, sono i protagonisti di un dialogo nato dalle riflessioni contenute in Licenziate i padroni. Come i capi hanno rovinato il lavoro, l’ultima fatica editoriale di Bentivogli da pochi giorni in libreria per Rizzoli. Un titolo volutamente provocatorio che serve ad alzare il velo su un mondo del lavoro in costante movimento eppure allo stesso tempo incatenato all’esercizio del potere di una classe dirigente non all’altezza.

BENTIVOGLI: LA “MEDIOCRAZIA” DEI PADRONI

«Il libro serve ad aprire una discussione in una fase in cui il mondo del lavoro subisce tre transizioni: quella demografica, quella digitale e quella ambientale», spiega Bentivogli. «E in questo contesto assistiamo a una gestione del potere all'interno del mondo del lavoro che presenta quattro caratteristiche insidiose. La prima è la caratterizzazione delle strutture organizzative basata ancora su quella che gli americani chiamano “C2”, cioè la struttura gerarchica di Comando e Controllo, come se il lavoro fosse semplicemente qualcosa da controllare, invece di puntare sulla responsabilità, sulla libertà, sull'autonomia, sulla condivisione dei progetti. È una gerarchia che funzionava in epoca fordista ma che oggi soffoca il benessere delle persone e la produttività. Il secondo elemento che caratterizza il mondo del lavoro è quello che il sociologo danese Alain Deneault chiama “mediocrazia» ”: assistiamo all'ascesa dei mediocri al potere. Questo fenomeno è particolarmente problematico, perché quando un'impresa è dominata dalla mediocrazia significa che è un'impresa poco virtuosa. Il terzo elemento di questa analisi è invece il digitale. Immaginiamo un “padrone” che eserciti il suo potere attraverso il controllo e utilizzi spazi digitali che rendono costante la sua presenza nella nostra vita, è un'immagine soffocante. Infine la quarta caratteristica: il narcisismo senile che aggrava e perpetua la tradizionale gerontocrazia italiana.

CAZZOLA: LO SCIOPERO INUTILE

Ma se l’analisi di Bentivogli parte dai “padroni”, quella di Cazzola pone l’accento sulle responsabilità dei sindacati. A partire dai temi più caldi, come lo sciopero generale appena indetto da Cgil e Uil contro la finanziaria del governo. «Per me è stata una tempesta in un bicchiere d'acqua messa in atto da alcuni pataccari», mette subito in chiaro il professore con la sua consueta schiettezza dialettica. «Cgil e Uil hanno proclamato uno sciopero che ormai è diventato una sorta di adempimento: in zona di sessione di bilancio bisogna fissare un giorno per lo sciopero generale. Ma quando uno strumento di questa importanza diventa una routine si svilisce. Tra l'altro, secondo me, questa manovra uno sciopero generale non lo meritava neanche. Non perché sia una manovra non criticabile, ma perché è talmente sgarrupata che non merita un onore di questo tipo. Stiamo parlando di una finanziaria di 24 miliardi, in larga misura fatta in deficit. Non ci sono le risorse per riforme di carattere strutturale. Il governo, davanti a una situazione del genere, ha preferito nascondersi, non farsi notare, per non rischiare di farsi crollare addosso la montagna del debito e di non riuscire più a vendere, se non a prezzi usurari, i titoli di Stato che la Bce non compra più. E il sindacato che fa? Sce- glie la strada degli scioperi, con un programma talmente arzigogolato che diventa incomprensibile. È normale che la Commissione di garanzia abbia mosso le sue obiezioni. Solo Matteo Salvini, con la sua precettazione, è riuscito a trasformare uno sciopero stupido in una difesa di un principio di libertà».

BENTIVOGLI: E INVECE SERVE IL CONFLITTO

Per Bentivogli, invece, il problema non è lo sciopero in sé ma la politicizzazione dello strumento. Una deriva che, secondo l’ex capo dei metalmeccanici Cisl, fa perdere l’orientamento al sindacato. E, paradossalmente, soffoca il conflitto sociale. «A me hanno insegnato che il sindacalista che dice sempre di sì produce lo stesso effetto di quello che dice sempre di no. Entrambi lasciano che le aziende e i governi vadano avanti da soli, senza il bisogno di un contraddittorio, ci si consegna all'irrilevanza», spiega Bentivogli. «Per me il problema è opposto: il 2022, secondo i dati Istat, è stato l'anno col più basso numero di ore di sciopero degli ultimi 20 anni ( lo 0,3 per cento) nelle aziende con più di 500 dipendenti. E parliamo di un anno con aumenti dell'inflazione vicini alla doppia cifra. La conflittualità nel settore privato è dunque sostanzialmente inesistente. Il conflitto sarebbe servito per tutelare il potere d'acquisto dei lavoratori, bussando alle porte di quelle aziende che in questi anni hanno accumulato extraprofitti ingiustificati, come dice la stessa presidente della Bce, Christine Lagarde. A quelle porte bisogna andare a bussare, ma questo quasi nessuno l'ha fatto. Si preferisce la politicizzazione delle battaglie. Ma così si rischia una francesizzazione del sindacato: organizzazioni debolissime dal punto di vista degli iscritti ma molto radicali in termini di conflittualità e incapaci di portare a casa qualsiasi risultato, come ha dimostrato la partita della riforma delle pensioni imposta da Macron».

CAZZOLA: L’ERRORE DEL SALARIO MINIMO

E tra le battaglie sbagliate del sindacato, il professor Cazzola annovera pure il salario minimo. «Devo confessare che non comprendo le ragioni della quantificazione a 9 euro orarie», esordisce. «Le indicazioni su un provvedimento di questo tipo dicono che la paga dovrebbe corrispondere al 50 per cento del salario medio o al 60 per cento del salario mediano, che in Italia significa 7 euro e rotti. Non ho gradito soprattutto il modo in cui è stata sostenuta questa battaglia. La tesi, in sintesi, è questa: ci sono i contratti pirata, dunque bisogna fare una legge sulla rappresentanza e introdurre il salario minimo perché ci sono 3 milioni e mezzo di lavoratori con una retribuzione inferiore ai 9 euro. Ma per me un salario minimo scorporato dal negoziato finisce per essere una nuova scala mobile, un esproprio dell'autorità salariale del sindacato sul negoziato per la retribuzione. Poi attenzione, la storia dei contratti pirata è una balla. Non perché non esistano, anzi, sono tantissimi, ma riguardano meno di 50 mila lavoratori, è dunque una situazione sanabile in via amministrativa. Mentre i 3 milioni di lavoratori che non arrivano a 9 euro sono tutelati dai contratti sottoscritti dai sindacati, contratti che però non vengono rinnovati. Il 56 per cento dei contratti è scaduto, parliamo di 7,7 milioni di lavoratori, allora mi domando perché un sindacato non pensa a risolvere questi problemi e si concentra solo su una redistribuzione che avviene attraverso politiche pubbliche?» .

BENTIVOGLI: UNA NUOVA CULTURA D’IMPRESA

Infine: il futuro. «I dati del Politecnico di Milano dimostrano che lì dove si fa smart working vero la produttività e il benessere delle persone crescono, lì dove invece lo smart working è praticato in maniera abborracciata non cresce né il benessere né la produttività» , dice Bentivogli. «Allora diventa concreto il rischio di ibridomania, cioè un contesto in cui le persone, tramite lo smart working, diventano semplicemente reperibili per 24 ore al giorno, sette giorni su sette, e spesso con capi che non hanno la stessa visione e capacità di motivare i lavoratori. Io dico licenziate i padroni perché questa è una straordinaria fase per la storia dell'umanità e per il lavoro che servono leadership capaci di traghettare e accompagnare la trasformazione, non persone che utilizzino il loro potere per rompere le scatole al prossimo. Il controllo è un'illusione, è inutile».