Ma FdI: «La classica arma di distrazione di massa, il mondo del lavoro è complesso »

Per qualcuno «un’arma di distrazione di massa», per altri una misura «necessaria e doverosa». Accelera, almeno a parole, il processo per l’introduzione di un salario minimo anche in Italia, uno dei sette paesi dell’Unione europea a non avere ancora uno strumento simile nella propria legislazione.

Per forza di cose qualcosa dovrà smuoversi, vista l’approvazione di una nuova direttiva europea che anche l’Italia dovrà recepire e che è diventata realtà dopo un percorso lungo quasi due anni. Il testo non prevede l’introduzione di un salario minimo valido in tutti i paesi membri, ma «un quadro procedurale per fissare i salari minimi e aggiornarli secondo una serie di criteri chiari e stabili». Il testo indica sia la possibilità di introdurre un tetto, con un vero e proprio salario minimo legale diverso in ogni paese a seconda del costo del lavoro, sia il ricorso alla contrattazione collettiva fra i lavoratori e i loro datori di lavoro.

Della normativa ha parlato il leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, tornando a chiedere l’approvazione in tempi brevi del testo di legge già depositato in commissione Lavoro al Senato, a prima firma dell’ex ministra del Lavoro, la pentastellata Nunzia Catalfo. «Ci sono dei lavoratori poveri che hanno paghe da fame: lo stiamo dicendo da parecchio e come M5S siamo più determinati che mai ad approvare il salario minimo - ha detto ieri Conte durante la campagna elettorale per le Amministrative - In Europa lo stanno facendo con una direttiva in arrivo, alcuni Paesi già lo hanno e introdurlo anche in Italia è necessario e doveroso». Per poi spiegare che i senatori «stanno lavorando a tempo pieno in Commissione», che «il progetto di legge sta andando avanti» e che i parlamentari M5S «sono disposti a lavorare notte e giorno per approvarlo».

E se dal Pd c’è pieno sostegno, con Beatrice Lorenzin che ha ragionato sul fatto che «salari troppo bassi privano la dignità delle persone e sono certamente inconciliabili con il mantenimento di una famiglia», da Fratelli d’Italia è direttamente la presidente, Giorgia Meloni, a schierarsi contro il provvedimento. «Quella del salario minimo mi sembra la classica arma di distrazione di massa, rispetto al complesso dei problemi del mondo del lavoro - ammonisce Meloni - Ricordo che molti lavoratori sono già garantiti da un contratto nazionale nel quale è presente la garanzia del salario minimo». Per poi toccare il tema delle «vere discriminazioni» nel mercato del lavoro, cioè «precarietà e tassazione troppo alta», e fornire una soluzione. «Se davvero si volessero alzare i salari - ha concluso - la soluzione migliore sarebbe quella di tagliare il cuneo, circoscrivendolo al lato lavoratore» . D’accordo il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, mentre per il segretario della Cgil, Maurizio Landini, «siamo di fronte a una situazione sociale esplosiva». Secondo il capo del maggior sindacato italiano, che ha chiesto di essere convocato a palazzo Chigi assieme ai leader delle altre sigle, il problema non sono soltanto i salari bassi, ma «un livello di precarietà nel lavoro e nella vita che non c’è mai stato».

E a proposito di cuneo fiscale, a dire la sua è anche il leader di Italia viva, Matteo Renzi, rivendicando i fasti del governo da lui guidato. «L’unica volta in cui è stato fatto il taglio del cuneo fiscale, è stato nel 2014 con il mio governo - ha detto l’ex presidente del Consiglio piantando la propria bandierina - Il problema è che per rifarlo adesso bisogna che tutti i partiti politici la smettano di parlare di cose che non servono a nulla: gli 80 euro sulla busta paga non bastano più, ce ne vogliono 200 e non una tantum ma un aumento mensile stabile».

L’impressione è che in piena campagna elettorale ognuno punti a ringalluzzire la propria base, mentre nella realtà dei fatti bisognerà vedere se la direttiva europea darà davvero nuova verve alla discussione. Il che non è scontato, visto che la direttiva Bolkestein sulle concessioni balneari è del 2006 e a distanza di quindici anni la partita, in Italia, è tutt’altro che chiusa.